25 agosto 1977. Roma, nella Basilica di Massenzio al Foro Romano s’inaugura, con la proiezione del film “Senso” di Luchino Visconti, la prima edizione dell’Estate romana ed il ponentino – “er venticello de Roma” – quella sera ha già iniziato a soffiare un po’ di malinconia per un’estate che sta finendo.
Siamo nel pieno dei terribili “anni di piombo” ed il 1977 è l’anno nel quale divampa la generalizzazione del conflitto politico-culturale. Quotidianamente le cronache dei giornali ci raccontano di fatti di sangue, di scontri tra estremismi di destra e sinistra, di lacrime di genitori, mogli, figli, di quelle di un’intera nazione che assiste attonita ed impaurita ad una costante escalation di terrore.
A Roma la sera che canterà Lucio Dalla, quella dei miracoli, quella che fa muovere “la città, con le piazze e i giardini e la gente nei bar” ancora non esiste.
La sera la gente esce poco, preferisce lo schermo di un televisore che, da pochi mesi, offre anche delle incredibili immagini a colori. Una scelta decisamente più rassicurante rispetto al rischio di uscire e trovarsi invischiati in qualche scontro o peggio rimediare, come quella che a maggio aveva ucciso Giorgiana Masi, una “pallottola vagante”.

E’ in questo desolato, violento, frantumato contesto sociale che l’assessore alla cultura per il Comune di Roma Renato Nicolini, con la benedizione ma anche le perplessità dell’allora sindaco Giulio Carlo Argan, inventa l’Estate romana
Forse neanche lui immagina quanto la sua creatura cambierà le abitudini dei romani e non solo.
“La sera dell’inaugurazione arrivai a Massenzio solo a mezzanotte. C’erano oltre 4000 persone e su una panca, in fondo, mi sedetti tra una famiglia romana che si era portata da mangiare i rigatoni da una parte e alcuni ragazzi che tentavano di fumare uno spinello dall’altra“.
Raccontava di una notte dove già si era compiuto il miracolo. Tanta gente, tanti cittadini spengono la paura ed accorrono ad abbracciare la cultura, quella alta, impegnata, rappresentata dal film di Visconti.
Lo fanno e si ritrovano insieme il fricchettone e la sora Cecioni, l’intellettuale con gli occhiali alla Gramsci e l’operaio con le mani provate dalle fatiche.
E la notte seguente ancora più persone accorrono per contaminarsi questa volta con la “cultura bassa”, con quella pop rappresentata dall’intera saga del “Pianeta delle scimmie” e anche per cimentarsi in una impegnativa prova di resistenza partecipando a proiezioni che iniziano con l’apparire della prima flebile stella in cielo e terminano con la luna che inizia ad accomiatarsi (il quinto film della saga non fu proiettato perché nel frattempo era spuntata l’alba).
Ma pur uscendo “incriccati”, intirizziti dall’umidità, frastornati dalle immagini e dal sonno, in tutti i partecipanti è sempre più forte e viva la fame, oltre che di un bel cornetto caldo, anche e soprattutto di cultura.
Per sfamare quella voglia sempre più insaziabile Nicolini ed i suoi collaboratori proporranno, nel corso degli anni a seguire, iniziative come Il Festival dei Poeti sulle dune di Castelporziano, la proiezione del “Napoleon” di A. Gance davanti l’Arco di Costantino, il Festival Panasiatico a Valle Giulia, il Parco Centrale contenitore delle città del teatro, della danza, del rock e della televisione ma soprattutto porteranno l’arte direttamente sotto la finestra del fruitore, del consumatore e non viceversa.
Per tutto ciò Nicolini sarà accusato di non essere un assessore alla cultura ma piuttosto dell’Effimero, di offrire forme di cultura costose, non permanenti, di facile e superficiale consumo.
Ma l’incanto, la meraviglia delle migliaia di mongolfiere librate a Piazza del Popolo rimangono e rimarranno per sempre negli occhi e nell’animo dei duecentomila cittadini accorsi.
Anime che oggi più che mai, osservando il vuoto del cielo romano, vorrebbero veder volare ancora la bell’arte.