di Agnese Malatesta – A 25 anni dalla Conferenza mondiale delle donne di Pechino che introdusse i principi di ‘empowerment’ e ‘mainstreaming’, bilancio deludente per il nostro paese.
Due decenni e mezzo passati quasi senza traccia per le vite delle donne italiane.
E’ con questa osservazione che inizia un documento messo a punto da 68 esperte e 45 organizzazioni femministe e femminili, sindacati, associazioni (fra le quali Amnesty International, Aidos, Cgil, Cospe, Giulia-giornaliste, Federazione italiana superamento handicap, Be Free, Coordinamento Pari opportunità, Giudit-Giuriste d’Italia, Effe), coordinati da D.i.Re (Donne in rete contro la violenza), alla vigilia dell’anniversario del vertice Onu che si tenne nella capitale cinese nel settembre del 1995.
Un lavoro che fa un bilancio degli impegni assunti a suo tempo e della loro carente o mancante attuazione: impegni concreti per una maggiore realizzazione dell’uguaglianza di genere che “trovano tutt’oggi
un’Italia inadempiente, permeata da una cultura retrograda ancora basata su stereotipi tradizionali,
con gravi carenze in termini di definizione e strategie di formulazione e valutazione delle politiche pubbliche e dei meccanismi istituzionali”.
Ecco perché, nel documento si afferma che anche a seguito della pandemia e della crisi che ne è seguita, le organizzazioni femministe e femminili “continueranno a lavorare per una società più giusta, ma non accetteranno di essere considerate marginali”.
Di fronte al fallimento del sistema patriarcale, razzista e sessista, “dove lo sfruttamento delle persone e dell’ambiente è la norma”, è proposto
un cambiamento in cui la competenza femminile è parte del momento decisionale, affatto marginale.
Il documento – dal titolo “Il cambiamento che vogliamo. Proposte femministe a 25 anni da Pechino” – prende in esame i temi cardine della piattaforma di Pechino (fra queste povertà, istruzione, salute, violenza, economia, diritti umani, media, ambiente) e sollecita in Italia e nel mondo “cambiamenti strutturali globali, in cui si ripensino gli assetti economici e produttivi e al tempo stesso si dia riconoscimento, spazio e valore al lavoro delle donne, incluso quello di cura non pagato”.
La leva culturale è ritenuta, per donne e uomini, un aspetto prioritario e una forma di prevenzione della violenza.
Fra le proposte avanzate nel documento: estensione dei diritti legati alla maternità, aumento del congedo obbligatorio di paternità e potenziamento dei congedi facoltativi, riducendone la penalità retributiva e contributiva; potenziamento della raccolta e dell’analisi di dati sulla salute per genere ed età (l’Italia è il primo paese al mondo ad essersi dotato di una legge sulla medicina di genere); incentivo al ricorso all’Ivg farmacologico, gratuità dell’accesso alla contraccezione (ora fra le più care in Europa); attenzione all’autodeterminazione delle donne con disabilità, ora spesso violato, nei servizi sanitari e nei consultori.
Il documento delle femministe sottolinea poi la necessità di rifinanziare il bilancio di genere (istituito nel 2003) e via via oggetto di un costante declino e di introdurre l’educazione di genere in ogni ordine e grado della scuola.
Sarebbe anche necessario avere fondi stabili e certi per i centri antiviolenza presenti sul territorio e rispettare il ‘linguaggio di genere’ nell’uso della lingua italiana.
Come opportuno, sarebbe da evitare sempre la vittimizzazione secondaria delle donne nei media in caso di violenze (eliminare espressioni come ‘delitto passionale’, ‘raptus’, gelosia, volontà da parte della donna di volersi separare e così via).
E’ ritenuta poi ‘inaccettabile’ l’assenza delle donne nelle task-force governative costituite in epoca Covid-19.
L’uguaglianza di genere è anche uno degli Obiettivi dell’Agenda 2030 la cui realizzazione vede impegnato il nostro Paese.
L’attuazione dell’empowement ha ancora tanti passi da fare: viene fatto un richiamo ad istituzioni e società civile per non abbassare l’attenzione verso i diritti delle donne che aprono poi ai diritti per tutti.
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