di Marianna Mandato – Che emozione è stata! Che emozione ho provato al solo ricordo di quei momenti…
Siamo pronti a scommettere che tutti, ma proprio tutti, abbiamo affermato qualcosa del genere in più di un’occasione.
Ascolta “Quali significati nella parola Emozione?” su Spreaker.
Eppure,
siamo proprio certi di sapere esattamente che cosa comunichiamo quando usiamo questa parola? A che cosa facciamo riferimento quando affermiamo “che emozione”? A una sensazione fisica? mentale? A un moto dell’animo?
Ecco. Fermiamoci un pochino e cerchiamo di fare il punto della situazione

Per prima cosa, rintracciamo i progenitori di questa parola, quelli che le hanno dato la sua forma attuale.
Di nuovo i lontani latini. Affiancati dai greci. E non c’è da farsi venire l’orticaria al solo riferirsi a greci e latini. Non è solo “roba da Liceo”. Anzi, riguarda tutti coloro che riescono a dire “che emozione!”.
Emozione, insomma, affonda le sue radici nella parola latina e-motionem. A sua volta figlia del verbo e-movere che, al participio passato, suonava e-motus. Sembra difficile ma non lo è. Quella “e”, che appare quasi in più, voleva dire in modo molto semplice ed essenziale “fuori da”. E quel motus, non sfugge a nessuno, voleva dire mosso. Insomma, pare proprio che emozione volesse da subito dire “far venire fuori”, “muovere qualcosa fuori da”.
Sì, ma da dove?
Focalizziamo ancora di più. Passiamo ai greci. Quell’emo a che cosa ci fa pensare? Beh, pare bizzarro ma sicuramente porta il pensiero ai laboratori di analisi cliniche. Il perché è chiaro. Ha a che fare con il sangue.
Ebbene, in greco aima è proprio il sangue ed emo il suo suffisso. Una specie di radicetta che messa insieme al resto di una parola, la specifica, la rende più chiara. Se, ad esempio, mettiamo la radicetta “emo” accanto alla parolina “statico”, allora sappiamo che parliamo di qualcosa che blocca il flusso del sangue. Così, se mettiamo il suffisso “emo”, accanto alla parolina “azione”, allora sappiamo che qualcosa a che vedere col sangue si muove.
Insomma, reggiamoci forte, non serve una grande preparazione per dedurre che,
messi insieme greci e latini, quando si provano emozioni, qualcosa agita, scuote, turba il nostro sangue.
Quello che proviamo, quando ci emozioniamo, in qualche maniera agita il nostro sistema circolatorio.
Fantastico. Per molti, un’emozione forte è simile ad un crampo allo stomaco o ad una congestione da qualche secondo. Evidentemente, tutto il sangue si concentra proprio nello stomaco, magari alla sola vista di una persona, al solo ricevere una notizia o al credere di aver appena visto l’ombra di un orco dietro un albero. Come nel caso dell’amore, lo stomaco la fa da padrone.
Detto questo, possiamo chiederci: di che cosa si riempie la parola emozione mentre la pronunciamo? Quali sono le altre parole che le danno forma in modo tale che per tutti voglia dire la stessa cosa?
Sicuramente scuotimento, agitazione, turbolenza, sentimento, irrazionale, sfuggente, sensazione, immediatezza.
Evidentemente, l’emozione è un qualcosa di un pochino lontano dal nostro controllo razionale cosciente. Inizialmente, o a mente iniziale che dir si voglia, il pensiero interviene poco, la mente si mette da parte. Proviamo qualcosa di immediato che ci scuote.
Bene. Il passo successivo come sempre sarà chiedersi che cosa dobbiamo fare dopo essere stati scossi. E facciamo il solito giochino: può dalla parola emozione derivare un verbo? Sì, certo, emozionare e anche emozionarsi.
Pare proprio che in presenza di questa parola siamo doppiamente protagonisti, e doppiamente chiamati ad agire. Lo ripetiamo, il verbo implica l’azione. In tutti e due i casi, insomma,
non possiamo essere inerti, non possiamo stare seduti a guardare o sentire l’emozione senza farla fluire. Farla realizzare. In qualche modo la dobbiamo gestire e portare da qualche parte.
Nel primo caso, “emozionare”, siamo proprio noi gli artefici dell’emozione altrui. Con il nostro comportamento, le nostre azioni o semplicemente con la nostra presenza, muoviamo le emozioni di qualcun altro. Ci facciamo veicoli di emozioni. Con le parole, i gesti, le espressioni, lo sguardo, la mimica.

Nel secondo caso “emozionarsi”, agiamo indirettamente, siamo quelli che accolgono un impulso, uno stimolo esterno e si turbano per esso. Insomma, l’emozione ci muove verso fuori o verso dentro e trasforma l’esterno o l’interno.
Un’emozione può essere positiva o negativa. Chi non conosce la gioia, la rabbia, la paura, la sorpresa, la tristezza o magari il disgusto. Ciascuna va capita – perché l’abbiamo provata o procurata – collocata nel modo giusto, affinché il suo essere arrivato non risulti vano, e gestita perché svolga il suo compito.

L’emozione è una specie di guida per l’orientamento.
Possiamo emozionarci anche semplicemente guardando un film in poltrona. Sicuramente, ma pure in questo caso dovremo capire cosa ci ha emozionato, perché lo ha fatto e pilotarlo in qualche direzione.
Riconoscere le emozioni e gestirle permette di sentirsi a posto con se stessi. Possiamo considerare il turbamento emotivo come una centrifuga. Cosa succede al bucato se la lavatrice non lo centrifuga? Che gocciola troppo, finché non scola l’acqua in eccesso. Ecco, la centrifuga permette di eliminare da subito l’eccesso e giovare al massimo dei benefici.

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