di Agnese Malatesta – “Siamo stati più giorni e più notti su quella barca e poi una notte delle luci, dei suoni, delle sirene, gente che gridava, gente che si sbatteva. È arrivata una nave più grande e ci hanno portati tutti lì sopra. Ci hanno dato delle coperte, da bere, da mangiare. Due giorni e siamo arrivati in Italia. Era tanto tempo fa, perché oggi, il nostro insegnante ci dice che le navi non arrivano più a salvarti quando sei in mezzo al mare. Sono poche e hanno delle difficoltà”.
Così un ragazzo straniero ricorda l’arrivo sulle coste nel nostro paese, l’accoglienza ricevuta in quel contesto. È uno dei racconti che si ritrova in un libro intitolato In questo mondo storto. Storie di incontri e di accoglienza, uscito alla fine del 2019.
Il libro è nato dalle parole di bambini e ragazzi ospitati da SOS Villaggi dei bambini, l’organizzazione che a livello mondiale si occupa dell’infanzia e dell’adolescenza prive di cure familiari o a rischio di perderle.
In Italia, si prende cura in sei villaggi di oltre 44 mila bambini, ragazzi e famiglie in stato di disagio.
Nel raccontarsi, il ragazzo non dice come si chiama ma la sua storia si intitola Ma ti sembra giusto che mi chiamino negro?
“Con tutto quello che ho passato ti sembra giusto che mi chiamino negro?’’, scrive.
Già perché la sua storia, come quella di tanti ‘neri’, passa per sofferenze, perdite di affetti, voglia di riscatto. Ed anche espressioni di intolleranza ed odio, sempre, purtroppo, drammaticamente d’attualità nei fatti di cronaca. E, giustamente, non manda giù quel disprezzo per il colore della sua pelle.
“Sembra che ci godano ad aspettarmi, a stuzzicarmi, a provocarmi. Mi monta una rabbia rabbiosa in quei momenti che non puoi capire, che non puoi provare. Una rabbia grande come il mondo, come l’universo. Devo risolvermela da me, da uomo”.
“Ci fosse mio padre… ma non c’è: io ero con mio padre quando si è perso, quando nel buio è scivolato dalla barca e non lo abbiamo più trovato. Eravamo in tanti, in troppi in quella barca. Mia madre era in fondo con le mie sorelle. Teneva forte in braccio la più piccola perché aveva paura di perderla. Le onde sbattevano contro la sponda della barca e la facevano oscillare fortissimo”.
“Io ero attaccato a mio padre e a mio fratello più grande. Ci tenevamo forte, ci tenevamo l’un l’altro, ma mio padre non stava bene. Aveva una tosse molto forte, era debole, aveva la febbre. Mio padre era bello, forte, giusto. Mio padre era nero”.
Il giovane racconta di una vita nel suo paese semplice ma positiva: il padre lavorava nei campi, avevano una mucca che mai ha fatto mancare il latte: “La mamma preparava da mangiare. Poche cose ma tutto era buono.
Tutto aveva un gusto di buono, di terra, di gioia, di pace. Se la pace ha un profumo è quello delle verdure che coltivava mio padre e che cucinava mia madre. Poi è arrivata la siccità e dopo un po’ la guerra”.
Quindi la partenza, la morte del padre. L’arrivo in Italia e l’accoglienza nel villaggio SOS.
Nel lungo viaggio, “si è ammalata anche la mamma, non nel corpo, ma nella testa. Ora non può occuparsi di noi. Per fortuna abbiamo trovato un posto dove stare mentre nella ‘clinica’ aiuteranno la mamma”.
L’acquisto del libro (www.sositalia.it/landing/libro) va a sostenere le attività di SOS Villaggi dei bambini. Fra queste, l’ultima emergenza le operazioni di soccorso sull’isola di Lesbo dove un campo vicino Moria è andato a fuoco.

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