di Giulia Segna – Isola di Lesbo, Grecia. Il campo profughi di Moria mercoledì 9 settembre è stato divorato dalle fiamme di due incendi. Decine di migliaia gli sfollati. L’attivista catanese Nawal Soufi, faro di speranza per molti, propone il progetto solidale “adotta un migrante” per sostenere economicamente singoli o famiglie che hanno perso tutto.
Due incendi hanno distrutto quasi totalmente il campo profughi di Moria, il più grande d’Europa. Ospita quasi 13.000 richiedenti asilo, il quadruplo della sua effettiva capienza. Le fiamme, divampate in più punti, hanno costretto le persone alla fuga, in particolare verso la località di Panaiouda.

“Non riusciamo a fare la conta dei feriti o forse anche dei morti”, denuncia l’attivista Nawal Soufi sul suo canale Facebook, “le tende di tantissime persone con tutti i loro averi sono andate in fiamme.
La sezione dei minori non accompagnati è andata in fiamme. Il carcere, con i detenuti dentro, in fiamme”. Lei, 32enne catanese di origine marocchina, è sul posto da tempo, spinta dal desiderio di solidarietà verso quelli che chiama “i suoi fratelli”.
“Chiediamo all’Europa di assumersi la responsabilità di trasferire queste persone verso qualsiasi Paese. Siamo in trappola!”, chiede aiuto.
Dalle ultime notizie si apprende che i 400 minori del campo saranno trasferiti presso altre strutture mentre gli adulti spostati temporaneamente su delle navi, fino a che il campo non tornerà agibile. In ogni caso, è stato dichiarato uno stato di emergenza per 4 mesi.
Di recente si sono verificati anche casi di positività al Covid-19.

Da quando è lì, costante è la denuncia sulle condizioni inumane in cui vivono i richiedenti asilo: tende sovraffollate, latrine sporche e fatiscenti, strutture pericolanti, scarsa attenzione alla sicurezza degli ospiti.
Nawal testimonia spesso storie di risse e accoltellamenti, di mancata assistenza medica, di frustrazione, di rabbia e di abbandono, di violazione dei diritti, di trattamenti disumani, di incursioni violente dall’esterno.
Gli incendi di mercoledì hanno addirittura peggiorato la situazione:
“non c’è più cibo, non c’è quasi più nulla. Le persone si sono divise nelle uniche tende rimaste in piedi. Sto cercando di garantire la spesa alimentare”.
Queste le parole di Nawal.
Ed è proprio attraverso i canali social che la giovane attivista propone progetti di solidarietà agli ospiti – “prigionieri” li definisce lei – del campo.
Tra le attività che hanno riscosso più adesioni, quella di “adotta un migrante”, che consiste nell’invio mensile di una somma di denaro a singoli o gruppi di richiedenti asilo.
Gli interessati possono contattare Nawal direttamente su Facebook.

B-hop ha incontrato Eleonora, una delle aderenti al progetto. Fisioterapista di 54 anni e residente a Firenze, da qualche tempo supporta Muna, vedova siriana e madre di quattro figli.
Muna, di soli 29 anni, è arrivata a Lesbo circa 8 mesi fa e convive con dolori lancinanti alla schiena. Grazie all’aiuto economico di Eleonora, Muna è riuscita ad effettuare una visita medica ed acquistare alcuni antidolorifici.
“Conoscevo Nawal attraverso i social” racconta Eleonora, “un giorno l’ho contattata e mi ha parlato di questo progetto. Sono sempre un po’ perplessa quando qualcuno chiede soldi, quindi mi sono presa del tempo e ho letto il suo libro sui migranti. Sono rimasta molto colpita dalla forza di questa donna”.
Aveva capito che poteva fidarsi di Nawal e ha dato avvio alla sua prima adozione. Si trattava di un ragazzo che da mesi era sulla rotta balcanica, sono rimasti in contatto un mese circa, poi è sparito, se ne sono perse le tracce.
Così, ha chiesto di potersi occupare di un bambino e Nawal le ha affidato Mohammed, libanese di tredici anni, che dopo qualche tempo è stato inserito in un programma per minori gestito dalle autorità greche.
Ora c’è Muna, con la sua incredibile storia: pur così giovane ha già vissuto la guerra, la vedovanza, i figli, il campo profughi e adesso gli incendi.
“Ci mandiamo dei sorrisi, dei fiori, qualche parola di saluto su Whatsapp ma è difficile comunicare perché lei parla solo arabo e io non lo conosco. Nawal è nella chat e di tanto in tanto traduce i messaggi che ci inviamo, però non voglio caricarla di lavoro extra, quindi sto cercando un’amica araba che possa facilitare lo scambio”. Nonostante l’ostacolo linguistico, lei cerca di essere presente come può, per manifestare vicinanza alla ragazza e darle conforto.
Eleonora conclude il racconto emozionata, ricordando uno dei primi messaggi che Muna le ha inviato, poco dopo la prima donazione.
Diceva: “Prima o poi anche noi lavoreremo. Quel giorno potremo restituirvi quello che ci state dando. Grazie di cuore, non lo dimenticheremo mai”.

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