di Carla Chiuppi – In Umbria si ascolta spesso, in questo periodo, un proverbio popolare, riferita alla bella tradizione dell’acqua di San Giovanni: “La guazza di San Giovanno fa guarì da ogni malanno!”
Legata al solstizio d’estate, nel giorno più lungo dell’anno in cui la natura raggiunge il massimo splendore, la notte tra il 23 e 24 giugno, si rinnova il rito dei falò e dell’acqua odorosa.

Per l’acqua di San Giovanni perfetta, oltre ai fiori di campo, ginestre e petali di rosa sarebbero necessarie più di 24 erbe tra cui l’iperico, detto erba di San Giovanni, l’artemisia o assenzio volgare, dedicata a Diana-Artemide, la verbena protettiva dai malefici, il finocchio selvatico, potente amuleto utile ad affinare l’occhio negli inganni, l’avena, simbolo d’abbondanza che aiuta a fare la scelta giusta e le erbe aromatiche (timo, amaranto, salvia, rosmarino e centinodio, menta e basilico) utili a risolvere le situazioni, donare intuizione e stimolare la memoria.
Acqua per purificare e scacciare i malanni del corpo e il fuoco, il calore, il sole, per scongiurare gli eventi meteorologici che guasterebbero il raccolto.
La nonna acquistava le “erbe odorose” al mercato; le donne confezionavano mazzetti già pronti per preparare l’acqua odorosa.
In una grande tinozza preparava sapientemente i fiori e le erbe e li copriva di acqua, ci sarebbe servita al mattino seguente per lavarci il viso. Molto più spesso noi bambine ci immergevamo!
Si lasciava sul balcone nella notte tra il 23 e il 24, a raccogliere la rugiada del mattino, e la luna della notte, per essere pronta ed essere utilizzata per bagnarsi. Quest’anno cade di luna piena!
Raccolgo le erbe intorno alla mia casa, facendo attenzione a non estirparle, lasciando sempre un esemplare nelle vicinanze, odori e fiori di casa. Come ogni anno, il rito si rinnova e con esso la preparazione dell’olio di iperico, ottimo rimedio per pelli secche, piccole scottature, utile per piccole ferite.
Come per ogni tradizione che si rispetti c’è un cibo legato ad essa, nella mia famiglia c’erano le “fregnacce”, piccole pizzole fritte di acqua e farina condite con erbe e cicorie.

Preparazione ed ingredienti con misurazione “ad occhio”:
- In una ciotola, mettiamo della farina di ottima qualità, meglio se macinata a pietra e non molto fine, io utilizzo la 1 o la 2. Per essere più precisi metteremo 200 g.
- Aggiungiamo acqua aiutandoci con una frusta, fino ad ottenere un impasto compatto, morbido e semiliquido.
- Aggiungete a questa pastella, il sale e poi scegliete quali erbe aggiungere, già lessate o ripassate in padella, se vi piacciono più saporite: borragine, cicoria, strigoli, ortiche o semplicemente della salvia (che io adoro), oppure semplici, poi le farcirete, se vorrete.
- Un piccolo segreto, aggiungete una piccola alice all’impasto, se non siete allergici e se sono di vostro gradimento, si aggiungerà una nota appetitosa, chiaramente per la versione salata.

- Prendete un padellino, di diametro 14/16, se volete antiaderente, io utilizzo un padellino di ferro, ma va bene comunque qualsiasi altro. Servitevi di un mestolo di media grandezza (diametro 8) è la dose giusta per ottenere una fregnaccia del giusto spessore. Mettete un pò di olio e cuocete, girando più volte. Devono risultare ben cotte da entrambi i lati.
Si mangiano a tutte le ore, in alcuni paesi si realizzano semplici e si cospargono di zucchero arrotolandole, sono la gioia dei bambini..ma con cautela, lo zucchero non è un alimento di cui abusare.