Roma, un piccolo teatro nel cuore di un quartiere borghese. Lo spettacolo in cartellone è “Sogno di una notte di mezza estate” di W. Shakespeare. In scena 13 ragazzi di una scuola media. Maria Gabriella, l’insegnante, è una donna piccola, apparentemente fragile. Ci si chiede come sia riuscita ad imbrigliare l’energia animale di adolescenti nel pieno della loro fisicità. O quali arti magiche abbia utilizzato per fare interpretare loro personaggi talmente complessi da spaventare degli illustri professionisti.
Tremando presenta il lavoro, tremando si congeda dai suoi allievi dopo alcuni anni trascorsi insieme, tremando apre la porta alle parole del Grande Bardo. Quelle parole che sono state recitate dai più grandi del teatro ora sono sulla bocca di Tiberio, Bibiana, Pablo, Marianna, Michele. Appaiono immediatamente troppo grandi, quasi esagerate per agazzi poco più che tredicenni. Eppure, lentamente, quelle parole, quei ragazzi, quell’autore ancora una volta riescono ad accendere la magia del teatro.
Ed è in quel preciso istante che genitori accorsi esclusivamente perché innamorati persi dei propri figli (o amici e parenti più o meno volontariamente coinvolti), smettono di fare le fotografie con il cellulare e finalmente volgono la loro attenzione ai personaggi, alla storia. Ed ecco la trasformazione: Tommaso non è più l’adorato figlio ma diviene Lisandro, Chiara non più un tesorino di nipotina ma è Ermia.
L’allestimento nel suo complesso è povero, costruito grazie a qualche generoso contributo delle famiglie. Scene minime ma ingegnose, le luci servono solo per diradare il buio dello spazio scenico, le voci dei ragazzi sono esili, i movimenti a volte incerti a volte esagerati. Ciò nonostante, grazie alla passione, al coraggio, alla disciplina, all’entusiasmo, alla leggerezza, alla sensibilità e all’intelligenza di ogni singolo partecipante, lo spettacolo coinvolge ed emoziona.
E quando il potente applauso finale sommerge gli attori il dubbio, ovviamente amletico, diventa ineludibile: chi avrà tratto maggior beneficio dallo spettacolo? I giovani o il Teatro?
Quei 13 giovani in scena, dopo aver conosciuto lo stato di perfetta armonia con l’universo che una grande arte riesce a donare, si lasceranno ispirare per sempre da questa sana conoscenza e sarà per loro una stella polare, il riferimento assoluto per qualsiasi atto della loro vita?
O il Teatro troverà forse in questi giovani nuovi attori, nuovi registi, maestranze, spettatori, ma soprattutto risorse di energia ed idee da cui alimentarsi per continuare ad esistere?
I giovani attori escono dal teatro, qualcuno ha ancora qualche traccia di trucco, sono felici, eccitati, uno di loro corre ad abbracciare con forza una piccola donna ancora tremante e baciandola le grida: “Grazie maestra”.
Nel 1954 venne fondata una compagnia che fece la fortuna e la storia del teatro italiano nei successivi decenni. Quella compagnia, che annoverò tra i suoi partecipanti Giorgio De Lullo, Romolo Valli, Rossella Falck, Luigi Squarzina.
Venne chiamata “Compagnia dei Giovani”.