(di Agnese Malatesta) – Il primo colpo d’occhio va ai colori. Tanti colori, vivaci, brillanti, gioiosi. Tanti colori che rivestono altrettanti copertine di libri. Tutti ordinati fra loro, quasi stipati nella sobria libreria che ricopre le pareti dell’intera stanza. Siamo in un museo, uno dei più prestigiosi al mondo: siamo alla Tate Modern di Londra. Una libreria esposta in un museo. E’ la British Library, l’ultima mostra arrivata alla galleria.
Obiettivo: celebrare le diversità etniche della popolazione britannica. Celebrare gli immigrati giunti nel paese.
E’ un’opera d’arte, realizzata da Yinka Shonibare CBE, artista britannico di origine nigeriana che ama lavorare sull’identità culturale e che recentemente è insignito del titolo CBE (Commander of the Most Order of British Empire) che ha aggiunto appunto la sigla al suo nome.
La raccolta conta oltre 6 mila libri rivestiti con il tessuto di cotone stampato a cera olandese dallo stesso artista.
Sul dorso di molti libri sono stampati i nomi di importanti immigrati di prima e seconda generazione e di immigrati arrivati in Gran Bretagna che si sono trasferiti nel paese nel corso della storia. Fra questi, nomi del calibro del principe Filippo, dello statista Winston Churchill, dell’attrice Helen Mirren.
Si tratta di persone che hanno dato un contributo significativo alla vita e alla cultura britannica, dalla scienza alla musica, all’arte, al cinema e alla letteratura.
Ci sono anche personaggi che nel tempo si sono opposti all’immigrazione. Insomma, un data base sulla storia dell’immigrazione in Gran Bretagna.
A corredo della mostra, dei tablet nella sala attraverso i quali è possibile accedere ad informazioni su persone e sul fenomeno dell’immigrazione in generale. E sempre con i tablet, in un percorso interattivo, chi vuole può inserire la sua storia con origini straniere, ora cittadino britannico.
L’invito a condividere le storie recita così: “Lei o la sua famiglia siete emigrati nel Regno Unito? Se è così, ci piacerebbe ascoltare le vostre storie. Vi preghiamo di inviare le vostre storie e/o fotografie qui. I contributi selezionati saranno pubblicati su questa pagina”.
Una delle ultime storie raccolte parla di Luna che racconta: “Mio padre è giunto in questo paese nel 1960 con molti cugini, tutti provenienti dal Bangladesh. Nel 1969 portò qui mia madre e nel 1970 sono nata io. Mio padre lavorava come conducente di autobus mentre i miei zii lavoravano nelle fabbriche 18 ore al giorno, risparmiando ogni centesimo per poi comprare un ristorante. Il loro sacrificio di stare lontano dalla patria e dalla famiglia non è stato vano. I miei cugini ed io siamo andati all’università ed abbiamo preso una laurea”.
Alcuni dei libri, non sono segnati. Il che vuol dire che
la storia dell’immigrazione nel paese è ancora in fase di scrittura.
Significativo il tessuto con cui sono rilegati i libri: è un tessuto africano stampato a cera. Questa scelta, secondo l’artista che l’ha voluta per questa opera, vuole far soffermare sulla relazione tra colonialismo, appropriazione culturale e identità nazionale.
E’ un tessuto sviluppato nel XIX secolo nei Paesi Bassi come imitazione del processo di tintura batik utilizzato in Indonesia, allora colonia olandese.
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