(di Filippo Bocci) – A volte pensiamo di sapere che genere di libro ci stia passando fra le mani e poi ci accorgiamo che stiamo leggendo altro, che non siamo entrati in un normale intreccio letterario ma che l’autore ci lega fisicamente allo spazio della narrazione, partecipi di un affresco antropologico di vita reale.
È l’effetto che provoca West and Skoda – Quei giorni da cani – per Robin edizioni, primo episodio di un unico, lungo romanzo che prenderà dieci volumi nelle intenzioni del suo autore, Davide Pellegrini.
Apparentemente è il canonico noir con omicidio iniziale, indagini complesse con diversi incidenti di percorso e gravi situazioni di pericolo, fino alla corsa finale verso la risoluzione del caso.
In realtà tutto questo c’è, ma è solo la cornice di un’opera per molti aspetti originale, scritta con autenticità e con spirito diverso rispetto al romanzo criminale.
Protagonista principale non è la vicenda ma un luogo, Roma e ancor più il quartiere San Lorenzo,
“una periferia al centro della città”: “Ho scritto di cose che ho visto e l’ho potuto fare soltanto allontanandomi dalla città – ha detto a B-hop lo scrittore – e così da tre anni mi sono trasferito con la famiglia a Torino, dopo averne vissuti quindici a San Lorenzo. Solo il distacco ha potuto darmi una certa oggettività così da poterne raccontare. Roma è ormai una megalopoli caotica e complessa e la ritengo sempre la città più bella del mondo, ma ho raggiunto un punto di saturazione, non riesco più a viverci, e così ho pensato che è meglio che un amore ti manchi piuttosto che ti faccia soffrire”.

Ecco che situazioni realmente vissute tornano tratteggiate dalla penna di Pellegrini, che ricrea un’ambientazione credibile e coinvolgente nella potente iconografia del quartiere: bar, piazze di ritrovo, ristoranti, strade e palazzi, qualunque angolo è importante, popolato da un mondo in fermento, ricco di artisti e creatività, che coabita il territorio con uno spaccato di umanità più malandrina che criminale, “gente che non prende niente sul serio”, violenta certo, ma anche connotata da un picaresco furfantismo a cui capita di guardare con indulgenza.
Il vicequestore Walter Soccio “non è un eroe, è un uomo sensibile”, indolente, un po’ spaventato dalle relazioni, che fa dell’ironia un’arma a doppio taglio che lo protegge ma lo mette a suo modo in dialogo con gli altri, nell’unico approccio possibile.
Dirige una squadra improbabile, un’“Armata Brancaleone” impegnata a risolvere il caso di omicidio di un giovane massacrato di botte nelle maglie di un universo malavitoso dove droga, prostituzione e scommesse clandestine sul combattimento dei cani si intrecciano senza soluzione di continuità.

Ma, una volta delineato il quadro narrativo da libro giallo, West and Skoda scivola quasi naturalmente nell’introspezione e il vicequestore va più a caccia di sé stesso che dei criminali: “Io do voce a un’umanità che tutti i giorni prova a stare a galla, dove necessariamente buoni e cattivi finiscono con l’assomigliarsi, sfiancati dalla dura lotta del vivere.
C’è un personaggio a cui sono affezionato, Riccardo Moreschi, il “Biondo”, per la sua lucida visione della vita che realizza che non ci saranno opportunità per tutti, e che razionalmente lo porta a scegliere l’illegalità. Dove vive solo la calcolata forza del sopruso non esiste la paura, non esiste altra legge che la propria”.
E la scrittura di Pellegrini ha il suo punto di forza maggiore nel restituire questo pastoso, indistinto, svogliato magma sociale dove le giornate si succedono uguali, tutti in strada a giocare la faticosa scena della vita.
“Alla fine questa è una realtà che rimane ancora e sempre classista – ci dice amaramente l’autore – dove pochi sono in cima e tanti salgono le scale. La geniale Livella del Principe De Curtis arriva sacrosanta, ma bisogna morire per vederla in azione”.
E allora la trama importa fino ad un certo punto, conta invece questa “umanità al confine”, dal barbone di nome Everest, specchio vigile e a sua volta vittima della meschinità umana, allo spacciatore, all’oste, al capo banda, all’ultimo dei poliziotti, tutti pervasi dal sarcasmo che li connota e li lega insieme.
E si ride anche, ma è una comicità tragica, quasi grottesca: “L’unico rimedio per resistere – è Soccio che riflette in una pagina del romanzo –, si era detto da ragazzo, era maturare una sorta di giubbotto anti-urto per ammortizzare con spirito caustico tutte le brutture che la vita ti presentava davanti”.

West and Skoda è un romanzo che respira quasi naturalmente degli umori di una letteratura contigua, che va dal grande maestro Camilleri a Manzini, Piazzese, Malvaldi, Carlotto.
“Sono arrivato tardi ai romanzi gialli – ci ha confidato Pellegrini – e certo conosco Camilleri e ho letto Manzini, ma la mia preferenza va a scrittori come Vazquez Montalban e soprattutto Jean Claude Izzo che mi affascina con i suoi personaggi perdenti e fatalisti. Però soprattutto volevo distinguermi dalle mille Gomorra e Suburra di oggi, e dalla loro rappresentazione iperbolica e assoluta della delinquenza, e raccontare invece una micro-criminalità più ordinaria e spicciola”.
Nel proporci uno spaccato popolare conosciuto in prima persona, il disagio di persone, prima che personaggi, senza un centro, non a fuoco con sé stessi, ai margini di una periferia esistenziale, Davide Pellegrini dà vita a un poliziotto che risente certo degli echi di tanti altri poliziotti, vicequestori, commissari, ispettori, ma la cui voce è potente, autorevole e originale. Perché la letteratura, quella vera, la riconosci sempre.
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