Questa settimana vi consigliamo: “La terra e il vento” dell’esordiente Sebastian Maulucci e il film di fantascienza “Arrival” di Denis Villeneuve.
La terra e il vento – di Sebastian Maulucci
Dopo tre anni e mezzo di limbo tra candidature e partecipazioni a festival (ha vinto nel 2014 il Terra di Siena Film Festival) è finalmente nelle sale italiane l’opera prima di Sebastian Maulucci. Un giovane che parla di giovani all’interno di un ritratto della società italiana molto attuale: ventenni divisi tra il dovere/desiderio di restare nella propria terra per salvaguardare le tradizioni agricole familiari e la voglia di andare, esplorare, fuggire verso il viaggio e l’avventura. La terra e il vento, appunto, incarnati dai due protagonisti Leonardo e Riccardo, i due fratellastri che seguono percorsi opposti. A parte qualche difficoltà e fatica a ricostruire i personaggi e i rapporti delle due famiglie allargate (complicati da innesti del passato, un karma familiare che ancora pesa), il film è fresco e profondo, descrive bene i due opposti slanci che mettono in crisi tanti giovani (e non solo) di fronte alle decisioni importanti della vita. Ogni scelta avrà i suoi vantaggi e le sue conseguenze, ma alla fine (o all’inizio) del viaggio, che sia in terra o che sia nel vento, ognuno avrà imparato qualcosa. L’inevitabile destino di crescere. (Patrizia Caiffa)
Arrival – di Denis Villeneuve
Nel momento in cui il diverso, lo straniero, l’alieno disegna con le sue orribili ventose uno strano cerchio tradotto dai linguisti con la parola “arma”, il mondo intero entra nel panico e ogni singola nazione, interrompendo qualsiasi comunicazione con gli altri Stati, formula una reazione. Reazione che per la grande maggioranza di loro è di natura bellica. Cosa salverà l’umanità dall’ennesima “Guerra dei mondi”, quale supereroe interverrà per impedire lo sterminio della razza umana? Non vogliamo anticiparvi nulla del sorprendente film di Denis Villeneuve, candidato a ben 8 premi Oscar (tra cui miglior film e miglior regia), se non che forse è sbagliato annoverarlo come un semplice film di genere, un film di fantascienza, ci sembra piuttosto d’interpretarlo come una potente e complessa metafora sull’incomunicabilità, sull’ineluttabile destino dell’uomo a vedere nello straniero, in quello che parla e vive in modo diverso da noi, un nemico da combattere, da abbattere. Quindi coloro che vorranno abbandonarsi a 120 minuti di splendide immagini siano perlomeno consapevoli che Will Smith ed i “nostri a cavallo” non arriveranno e che ogni riferimento a Kubrick e Terence Mallick è tutt’altro che casuale. (Rinaldo Felli)