(di Filippo Bocci) – La pittura di Sergio Ceccotti vive di mondi interiori. L’occasione di farne parte arriva da una mostra antologica ospitata al Palazzo delle Esposizioni di Roma, con quaranta opere dell’artista, da poco inaugurata e visitabile fino al prossimo 14 ottobre. L’ingresso è gratuito.
Nato nel 1935 a Roma, dove vive da sempre, Ceccotti viene agli inizi fortemente influenzato dal Cubismo. Si avvicina poi agli espressionisti tedeschi, per trovare infine una sua originale poetica, caratterizzata da una solida tecnica al servizio di una visione metafisica della realtà. Fondamentali per lui sono stati gli studi con Oskar Kokoschka a Salisburgo e poi i corsi di disegno a Roma a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia.

I suoi quadri si fondano su una realtà mediata attraverso l’influenza di elementi eterogenei: alla base c’è il cinema, soprattutto i thriller alla Hitchcock della Finestra sul cortile, con le atmosfere sospese che preludono sempre a qualche accadimento, e poi la fotografia, i fumetti, Diabolik su tutti, la pubblicità, ma anche, lo dice egli stesso, i rebus della Settimana Enigmistica:
“Il mio interesse per questi disegni non nasceva da una grande passione per i rebus, anche se mi diverte risolverli, ma dal fascino che quelle scene emanavano… Gli accostamenti di oggetti incongrui, ingrediente principale di ogni rebus, non producono qui un effetto disturbante di tipo surrealista, ma sono tranquillamente assorbiti dalla scena generale, come se in quel mondo fosse naturale che un ragazzo lotti con un serpente tra l’indifferenza di altri personaggi che contemplano le barche sul fiume, mentre su una pietra in primo piano una teiera e una tazza attendono, accanto a due grossi coltelli”.
Queste parole del pittore, riportate dal curatore della mostra Cesare Biasini Selvaggi nella breve monografia del catalogo, colpiscono per l’acuta perspicacia e la logica costruzione del ragionamento.
Molto geloso del suo privato, Ceccotti dice di essere un uomo “banale” e di somigliare a tanti altri; “Ceccotti artista – aggiunge – non è, invece, tanto banale e non somiglia tanto agli altri artisti”.
In questo senso non è per niente facile, né troppo corretto, annoverare la sua produzione in qualsivoglia genere o corrente. Si possono però ricercare somiglianze; lo stesso Biasini Selvaggi suggerisce una comparazione con Edward Hopper, fra i più importanti interpreti del realismo pittorico americano del XX secolo.
Il curatore della mostra scrive che i quadri dei due artisti, appartenenti peraltro a diverse generazioni – Hopper era nato nel 1882 – sono “accomunati da un’apparenza realistica, da un naturalismo di ritorno, tuttavia divergenti, anzi inconciliabili nel merito. Il maestro americano rappresenta sulle sue tele il dramma dell’incomunicabilità, dell’alienazione, della solitudine della società moderna… Ceccotti, dal canto suo si limita, invece, a riprodurre praticamente ciò che ha visto, senza dare giudizi sul suo tempo”.

La nostra idea è che la sua sia un’arte dove ciò che è disegnato sulla tela, apparentemente reale ma filtrato da una creatività surreale e disturbante, possa essere percepito in molti modi, a seconda della sensibilità dell’osservatore. Assodata l’eccellente perizia tecnica dell’artista, contano soprattutto le storie raccontate nei suoi lavori – “Io sono un pittore narrativo”, dice Ceccotti, – che muovono stati d’animo, risvegliano emozioni profonde.
Esemplari allora sono le parole, che Biasini Selvaggi riporta, di Philippe Soupault, scrittore e saggista del movimento d’avanguardia surrealista nato in Francia nel secolo scorso:
“Tutte le notti sogno e tutte le mattine mi sforzo di ricordare i miei sogni. Io posso, non senza sforzo, riconoscere dei personaggi, uomini, donne, bambini, ma non mi riesce mai di ricordarmi degli ambienti, delle atmosfere, della luce in cui sono stato immerso durante la notte e che spariscono al mattino. Tuttavia, un terzo della mia esistenza l’ho vissuta nello spazio e nell’illuminazione dei sogni, senza potermici mai ritrovare. È grazie a Sergio Ceccotti che ho riconosciuto il “teatro” dei miei sogni. Guardando le sue opere, ho provato lo choc del riconoscimento.”
Dunque, in quaranta dipinti, sessant’anni della longeva carriera di un artista autentico, difficile da inquadrare.
Ceccotti non somiglia a nessuno, comunica esclusivamente attraverso i suoi quadri e ci muove, con il fascino misterioso della sua pittura, a conoscerlo o a riscoprirlo nella sua unicità, proprio lì dove si fa trovare, davanti all’immagine.
