(di Filippo Bocci) – Non si può nominare Rino Barillari e non pensare immediatamente alla Dolce Vita. Questa accoppiata inscindibile viene celebrata in una mostra a Roma, sulla via Pontina, nell’outlet di Castel Romano, organizzata da McArthurGlen Group e intitolata “Rino Barillari, 40 scatti della mia Dolce Vita”.
Fino al prossimo 31 agosto sarà possibile, curiosando per le vie e le piazzette del centro commerciale, fare shopping in compagnia dei divi di Hollywood come se anche loro, animati dalle gigantografie del grande fotografo, fossero lì insieme a noi a passeggiare. L’idea risulta vincente e l’effetto è particolarmente suggestivo.
Nato nel 1945, calabrese ma romano di adozione, Barillari approda nella capitale a quattordici anni e comincia l’avventura della sua vita quasi per caso, unendosi ai colleghi che si guadagnavano la giornata facendo fotografie ai turisti intorno a Fontana di Trevi, gli “scattini”.
Il ragazzo è bravo, ha grinta, capisce che può osare di più ed è quasi naturale il suo passaggio nelle zone e nelle vie più importanti della città che in quegli anni accoglie la cultura, la musica, l’arte delle capitali europee e d’Oltreoceano, e, insieme alla popolarità del cinema neorealista italiano, celebra i protagonisti del sogno hollywoodiano.
Un momento magico e irripetibile: Piazza di Spagna, Piazza del Popolo, Via Veneto sono i raffinati, palcoscenici urbani di personaggi già all’epoca universalmente famosi.
Così Barillari fa subito centro: è evidente che ha fiuto, l’obiettivo della sua macchina fotografica punta immancabilmente le sue “prede”, ne coglie gli slanci, gli entusiasmi, oppure la malinconia e lo spleen della celebrità.
Talvolta li convince a posare per lui, rassicurandoli con la sua ironia, la sua giovialità, e con la sua impeccabile eleganza.
Altre volte non tutto fila liscio: qualche divo, anche un po’ brillo, non prende bene la sua faccia tosta e gliela fa pagare. Alla fine, “The King of Paparazzi” – come lo aveva ribattezzato Federico Fellini, vezzosamente anche “Kinghetto” – vanta dei numeri di “guerra” di tutto rispetto: 76 macchine fotografiche e 40 flash fracassati, 11 costole rotte, una coltellata, 162 visite al pronto soccorso!

Pure, non c’è star che non sia riuscito a fotografare, consenziente o meno, rivelando qualcosa di ognuna al grande pubblico, durante anni in cui i social erano molto lontani da venire e i divi erano tali proprio perché misteriosi, irraggiungibili.
La stessa Via Veneto non sarebbe diventata il mito delle luci della ribalta, se lui e i suoi colleghi non avessero catturato l’essenza del momento, l’attimo della storia, quel notturno, spesso alticcio palcoscenico all’aperto, fosse Doney, l’Harry’s bar o il Café de Paris.

I suoi scatti hanno illuminato con il lampo geniale dell’artista un’epoca già splendida di per sé. Le foto di Rino Barillari sono uniche come unici furono quei momenti.

“È importante raccontare Barillari – spiega a B-hop Antonella Piperno, autrice dei testi della mostra, – perché è un “sopravvissuto” di un mondo che non c’è più, di una Roma che non è più la Hollywood sul Tevere”.
“Oggi i grandi del mestiere, alla ricerca di persone importanti da fotografare, devono scontrarsi con i ‘cacciatori di selfie’, immagini fini a sé stesse, senza alcuna rilevanza artistica, destinate a non avere storia”.
Chi vorrà percorrere i viali del Centro di Castel Romano, si accorgerà poi che la moda ritratta da Barillari negli Anni Sessanta ha lasciato delle eredità ormai classiche: il tubino alla Audrey Hepburn, o gli occhialoni alla Brigitte Bardot e, ovviamente, il maglione a collo alto, il “dolcevita” appunto, tutti abiti e accessori cult esposti nelle vetrine dell’outlet, che immergono il visitatore in una atemporale, seduttiva mescolanza di sensazioni e ricordi, glamour e narrazione fantastica.
Per Barillari, che più tardi fu capace persino di fotografare papa Giovanni Paolo II che giocava a bocce, “privacy” voleva dire “provaci”, e così ha firmato un’epoca e un mondo scintillante di divi e di fascino.
Poi non si è fermato: sono sue molte fotografie che raccontano la violenza degli anni di piombo, cronaca per immagini di un Paese sconvolto dal terrorismo.
E ancora i rampanti anni Ottanta, i decadenti Novanta e la svolta del Millennio.
Ancora oggi attivo e curioso, è sempre lì a scattare dove il suo intuito capisce che c’è qualcosa destinato a durare. Un piccolo re della memoria collettiva, un personaggio a cui il cinema e il nostro immaginario sono particolarmente debitori.

Photo credits: Rino Barillari