(di Filippo Bocci) – Lo scrittore Flavio Carlini ha scelto una riflessione di Franz Kafka come lungo esergo al suo romanzo Venti giornate al rogo, pubblicato da Letteratura Alternativa:
“È bene se la coscienza riceve larghe ferite perché in tal modo diventa più sensibile ad ogni morso. Bisognerebbe leggere, credo, soltanto libri che mordono e pungono. Se il libro che stiamo leggendo non ci sveglia come un pugno che ci martella sul cranio, perché dunque lo leggiamo?”

E, in effetti, il libro di Carlini non si fa mancare niente in quanto a morsi e punture. Ci racconta l’annoiata esistenza di Jan Novak, che sul Ponte Carlo a Praga vende il proprio fallimento ai turisti confezionando poesie d’accatto in cambio di pochi euro.
Trascorrono così le sue giornate, tra alcol e prostitute, segnate da ricorrenti, angosciosi sogni che lo vedono preda della corrente del fiume Moldava abitato da un’improbabile fauna ittica, particolarmente agguerrita.
Finché l’incontro con un altrettanto disperato agente letterario farà di Novak, improvvisamente, un noto scrittore, grazie alla pubblicazione di “Venti giornate di merda”, libro buttato giù in due giorni e che trova un immediato ed enorme riscontro di pubblico e vendite, tanto da essere tradotto anche in Italia.
Carlini articola sapientemente la trama, di cui non sveliamo altro, scandita nei titoli dei capitoli da capolavori di grandi artisti come Bob Dylan o i Rolling Stones, Bruce Springsteen, Peter Gabriel, The Animals, Nirvana e altri ancora.
I diversi brani musicali segnano i ritmi del racconto e lo colorano, modulando atmosfere e situazioni. Un interessante esperimento, noi lo abbiamo fatto, è quello di abbandonarsi alla lettura attraverso l’ascolto simultaneo della musica, proprio come fosse una colonna sonora.
Troviamo poi a intervallare, e quasi a raffreddare la ruvidità della narrazione, i racconti del romanzo pubblicato da Novak, che si fanno piano piano anch’essi storia, verso il finale che ricomporrà il quadro con uno sguardo di oggettiva, serena chiarezza.

La prosa di Carlini è cruda, primitiva, a volte spicciamente ferina, ma ancor più disincantata, ciecamente frustrata, impotente; e la Praga di Jan Novak non ha certo il respiro epico, la vitale bellezza, volendo cercare delle somiglianze, della Parigi di Tropico del Cancro di Henry Miller. È, invece, un posto fuori dalla storia, “sfigato” come dice lo stesso Novak, e da incubo è anche Roma, descritta “come un enorme cimitero monumentale: stupenda, affascinante, suggestiva; ma se ci abiti, o sei un custode o uno dei cadaveri”.
Non è simpatico Jan Novak, è cinico, nichilista, fuori posto sul Ponte Carlo come nei salotti letterari italiani. Lo sono invece, nella loro umanità, fatta dell’eroismo del quotidiano, di chi tutti i giorni “timbra il cartellino”, gli altri protagonisti della vicenda.
Su tutto campeggia il volgare trionfo dell’apparenza, il successo costruito sul niente, sull’urlo, sulla parolaccia, sull’andare fuori dalle righe, sull’arroganza che spazia dalla letteratura alla politica, e penetra nei comportamenti, nelle relazioni, “sporcandoti sempre di più, fino a ritrovarti completamente immerso nella merda”.
“E la felicità non arriva, e non arriverà mai perché quella merda in cui annaspi ti è penetrata nelle ossa e sei biologicamente incapace di essere felice. Ecco il senso di tutto questo: droga, alcol, puttane, dimenticare per una sera di essere fatti di merda, di non poter essere felici mai”.
È la denuncia dell’impossibilità a scrivere in un mondo, ormai educato e connesso ad un’arte mediocre, dove la cultura è dominata dalle false classifiche dei libri, identificata dalle stesse facce, ostaggio degli amici degli amici, fino al necessario, dignitoso, purificatore autodafé.
Un viaggio da compiere senza pregiudizi quello nella sfrenata, radicale scrittura di Flavio Carlini, una navigazione accidentata ed eccitante per il lettore, sbalzato nelle rapide, oniriche acque della Moldava.