(di Filippo Bocci) – Rosella Postorino lascia il segno con il suo quarto romanzo Le assaggiatrici, edito da Feltrinelli, che ha trionfato al Campiello 2018, sbaragliando la concorrenza.
Non sempre i premi letterari certificano automaticamente il valore di un libro, qui però abbiamo tra le mani un’opera straordinaria.
L’autrice ha raccontato la vera storia di alcune donne che, nella parabola discendente della Germania nazista, furono usate per testare la bontà dei pasti destinati ad Adolf Hitler e preservarlo da eventuali tentativi di avvelenamento. Cavie loro malgrado, rischiando giornalmente la vita, furono tuttavia fortunate nell’avere cibo a volontà e anche una retribuzione, in una nazione stremata dalla fame.
Morto il padre d’infarto agli inizi della guerra, perduta la madre nei bombardamenti di Berlino, Rosa Sauer – la nostra eroina, che parla in prima persona – si trasferisce a Gross-Partsch, nella Prussia orientale, dai suoceri Herta e Joseph. Il marito Gregor è arruolato sul Fronte orientale.
È il 1944, le sorti belliche della Germania stanno precipitando. L’abitazione dei Sauer è però vicinissima alla Wolfsschanze, la Tana del Lupo, il rifugio segreto e inviolabile del Führer. Rosa, insieme ad altre nove compagne, inizia il coatto lavoro di assaggiatrice, ridotta a puro stomaco nello scientifico, perverso ingranaggio del nazionalsocialismo:
“Eravamo dieci tubi digerenti”.
Non sveleremo altro della trama, che nella staticità della situazione è comunque ben viva e sapientemente articolata, grazie anche a un’esperta variazione dei piani temporali. La maestria narrativa della Postorino delinea alla perfezione ogni personaggio, dai protagonisti all’ultima delle SS, dando a tutti piena dignità letteraria.
L’autrice scolpisce oltre a Rosa altre figure indimenticabili, ognuna con un suo intimo, doloroso vissuto personale: il tenente Ziegler, la compagna assaggiatrice Elfriede, la suocera Herta, la baronessa von Mildernhagen, fino allo stesso Adolf Hitler, presenza sottesa e incombente, allegoria dello sfacelo degli uomini, prima ancora che della Storia.
L’italianissima scrittrice – vive a Roma, ma è nata a Reggio Calabria e cresciuta in terra ligure – riesce a comprimere nel libro una ridda di sentimenti, spesso negativi, come il senso di colpa, la delusione, la solitudine, il peso dell’assenza, il tradimento, il disprezzo, ma anche la solidarietà, la fierezza, il desiderio di maternità e perfino l’amore, che mantiene a galla dei personaggi altrimenti vili, affogati dall’assurdità violenta e bestiale della guerra.
La Postorino tiene ben ferma la barra della narrazione e, tra le pieghe della materia letteraria, va oltre la vicenda, universalizzando fatti ed emozioni e dando voce alle spente, messe a tacere, ragioni del cuore.
“Sperai che mi toccasse ancora, che mi abbracciasse. Non volevo dormire né vedere l’alba. Tornai a pensare che non avessimo il diritto, noi, di parlare d’amore. Abitavamo un’epoca amputata, che ribaltava ogni certezza, e disgregava famiglie, storpiava ogni istinto di sopravvivenza”.
Le assaggiatrici regala una verità per niente scontata: non è mai veramente netto il discrimine tra bene e male; le persone, anche le peggiori, alla fine potrebbero essere altre e più belle se la vita riservasse loro un diverso destino e una seconda occasione.
Un racconto magnifico, tanti eroi del quotidiano aggrappati alla pagina, tante emozioni, fra storia, narrazione e vita.