di Claudia Babudri – Mondi fantastici e animali parlanti. Storie semplici ed edificanti per smuovere le coscienze. Favole sulle quali ridere, riflettere, gioire, scritte nell’antichità da Esopo e da Fedro. La fortuna del genere favolistico non si esaurì con l’epoca classica, riscuotendo larga fortuna anche nel Medioevo, in particolare dal Duecento con la predicazione degli Ordini mendicanti.
Infatti, le favole, definite esopiche per il risvolto morale, comunicavano in modo semplice e diretto il messaggio cristiano, rendendone agevole la diffusione e la comprensione.

Le più apprezzate nel Medioevo erano quelle di Fedro, soggette a svariate trascrizioni.
Ricordiamo quella del 1025 di Ademaro di Chabannes, monaco e storico francese. Alla seconda metà del XII secolo ascriviamo l’Ysopet della poetessa Maria di Francia e al tardo Trecento l’Esopo toscano.
Un caso particolare è quello della Silloge di Romulus (IX secolo) pervenutaci in tre versioni.
Romulus, secondo la tradizione, avrebbe tradotto dal greco le favole di Esopo per narrarle al figlio Tiberino. Trascritte, raccontate ma anche riprodotte artisticamente.
Nella sala dei Notari del Palazzo dei Priori di Perugia, nel ciclo affrescato del tardo Duecento è possibile scorgere la rappresentazione di alcune vicende esopiane: il lupo e l’agnello, il lupo e la gru, la volpe e il leone o la volpe e l’uva. Queste scene, unite alle tematiche bibliche (Storie della vita di Mosè, di Gedeone, di Adamo ed Eva, morte di Caino) hanno funzione allegorica ed invitano alla prudenza i governanti.
Sempre a Perugia, nel bacino inferiore della fontana Maggiore, situata nella piazza adiacente al Palazzo dei Priori, Giovanni e Nicola Pisano, tra il 1275 e il 1278, rappresentarono le vicende del lupo e dell’agnello, del lupo, la volpe e la gru.

Soggetti favolistici con intento ironico sono utilizzati per commentare le umane peripezie nell’Arazzo di Bayeux, celebre testimonianza della conquista normanna in Inghilterra.
Anche a Roma, sul portale del Palazzo Senatorio era dipinta una favola: il leone magnanimo e dolce con il suo cucciolo ma feroce con i nemici si stagliava imponente in quel del Trecento. Oggi purtroppo questa rappresentazione è perduta.
Possiamo trovare lo stesso tema nei bassorilievi della facciata della chiesa di S. Pietro a Spoleto. Anche qui l’intento è allegorico, riferendosi agli agguati del maligno che non risparmiano i chierici.
In Italia altri soggetti favolistici si ritrovano in un capitello della cattedrale di Parma, in un rilievo nel portale occidentale della cattedrale di Ferrara e nell’architrave della Porta della Pescheria della cattedrale di Modena.
In quest’ultimo caso, oltre alle favole di Fedro, troviamo un episodio tratto dal celebre Roman di Renart. Si tratta di una raccolta di testi ascrivibili al XII e al XIII sec. I protagonisti sono animali umanizzati: la goupil (volpe ) Renart e il suo antagonista, il lupo Ysengrim, entrambi mossi dalla fame. Questo bisogno li spinge a fare di tutto, specialmente l’illecito: Renart è costretto a rubar cibo e a tessere tranelli ai danni del lupo e dei mercanti lungo i tracciati.

Sul portale della cattedrale modenese è raffigurato proprio uno di questi tiri mancini. Fintasi morta, la volpe si fa caricare sui carri dei viandanti per rubar loro le mercanzie e darsi indisturbata alla macchia verso Malpertugio, sua dimora, riunendosi alla moglie Hersent e ai figli.
Tra XII e XIII secolo i protagonisti delle favole vengono riprodotti anche nella cattedrale di Friburgo in Brisgovia, nella collegiata di St. Ursanne in Svizzera, in un codice conservato a Heidelberg.