(di Giulia Clarkson) – Mezz’ora per una sola canzone. La prima, ma non la più lunga. La seguente sarebbe durata dieci minuti di più. Certo, erano altri tempi quelli in cui Giovanna Marini tornava dall’America e registrava la temperatura degli States incidendo un vinile – Vi parlo dell’America, 1966 – con uno stile che, più di quarant’anni dopo, qualche ragazzino avrebbe osato definire rap.
“E sì mi hanno detto che io faccio rap” conferma, ridendo, questa instancabile e coraggiosa musicista ma anche cantante, autrice, ricercatrice che la settimana scorsa ha incontrato gli studenti del corso di scienze della produzione multimediale dell’Università di Cagliari, con il docente Ignazio Macchiarella e in collaborazione con i musicisti Gigi Oliva e Luca Nulchis.
Poi si addentrerà nella Barbagia sarda per il concerto che la vede impegnata a Belvì con il coro femminile Stella Splendens.
Giovanna Marini, va detto, con la Sardegna ha un legame antico, avendo cantato in passato con i pastori di Orgosolo e con il poeta sindacalista Peppino Marotto.
Tuttavia, se il tempo è dispotico, ormai, per come è organizzata la nostra quotidianità e certe durate sono diventate improponibili, –
“bisognerebbe buttare tutto per aria, per ritrovare il modo di darsi tempo e di concedersi uno all’altro, scambiarsi le idee, ragionare assieme”
ha detto alludendo a un campo ben più ampio della musica – il tempo si dimostra comunque incapace di frenare l’entusiasmo che anima Giovanna nella passione di raccontare i fatti attraverso la musica, per farli arrivare “a segno e suscitare l’emozione”.
Questa infatti la ragione dell’enorme e contagiosa passione per il canto popolare, che fa forza sulle emozioni anche quando è “necessario” e svolge una precisa funzione sociale e individuale.
La musica popolare, a differenza di quella classica, non usa una scala temperata ma utilizza dei modi che si allargano sui quarti di tono, regalando suoni più ampi e meno “perfetti” capaci però di grande risonanza, nell’ascoltatore.
La vicinanza degli armonici, inoltre, fa vibrare il plesso solare e suscita l’emozione. È chiaro dunque che non ha senso parlare di gerarchie, nella musica.
Giovanna Marini, che si è diplomata al conservatorio e continua la sua attività didattica alla Scuola popolare di musica di Testaccio a Roma, non ha dubbi:
la musica popolare ha la stessa valenza di quella classica e semmai ha aiutato a svecchiare i rigidi conservatori.
La prova è l’attività del Quartetto Vocale, formazione nata nel 1976 e oggi composta da Patrizia Rotonda, Flaviana Rossi e Michele Manca.
“La musica per quartetto è una delle forme più difficili” commenta Giovanna che con questo gruppo ha calcato le scene di tutta Italia e non solo, proponendo pezzi di ogni periodo storico, pezzi originali, cantate e partiture con grande rigore e abilità.
Perché cantare è sempre un atto di gioia che racconta un pezzo di umanità.
E Giovanna Marini, che di umanità ne ha conosciuta tanta, è generosa di aneddoti e memorie di un passato lungo più di mezzo secolo.
Anche quando ricorda, forse con un pizzico di orgogliosa nostalgia, dello storico spettacolo “Bella Ciao”, andato in scena a Spoleto nel 1964, fonte della baruffa che – tra sedie piovute dai loggioni e botte e risposte tra canti filo comunisti e filo fascisti – infiammò il pubblico della platea e quello dei loggioni del teatro.
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