(di Chiara Bottazzi) – Abu-Issa, 34 anni, palestinese della striscia di Gaza, è ospite con la sua famiglia nella Neos Kosmos Social House, una casa-comunità nata ad Atene nell’omonimo quartiere, per offrire un luogo accogliente a greci e migranti con difficoltà abitative. Qui Abu-Issa ha scoperto di essere un artista ed ha allestito un piccolo atelier.
Il progetto Neos Kosmos parte nel 2014 grazie all’impegno congiunto della Nunziatura apostolica in Grecia, che ha donato l’immobile, di Caritas Italiana, Caritas Grecia, Comunità Papa Giovanni XXIII, della locale arcidiocesi ateniese insieme ad altri sostenitori, tra i quali diverse Caritas diocesane italiane, L’Arca del Mediterraneo della diocesi di Foligno, e volontari da tutta l’Italia.
Il centro offre alloggio di lungo periodo in tre appartamenti e di breve periodo in 18 camere, e ha al suo interno spazi comuni per incontri e la vita di ogni giorno (cucina, cappella, giardino, ludoteca, sale riunioni).
Abu-Issa in realtà si chiama Ahmed, ma da quando è nato il suo primo figlio Issa, si fa chiamare Abu-Issa, il padre di Issa. Così fanno gli arabi. Quando diventano padri il loro nome scompare e il vuoto nominale viene colmato dalla presenza del figlio.
Come se quello che hai donato al mondo valesse molto più della tua stessa identità. Come se la dimensione generativa e ontologica si scontrassero in una battaglia per l’esistenza, nella quale vince sempre il dono di sé. Ti riconosci in quello che hai generato, non in quello che sei.
Abu-Issa ha trentaquattro anni ed è palestinese; è nato nella difficile Gaza, una striscia di terra fertile che non ha mai conosciuto la pace. È un uomo giovane e ha già cinque figli.
Nella sua vita ha fatto tutti i lavori possibili. È stato agricoltore, cuoco, operaio di cantiere, marmista. Ha sempre lavorato con le mani che parlano il linguaggio della fatica. Sono muscolose e segnate, con le mani ha guadagnato i soldi per vivere e far vivere.
Sembra impossibile che quelle dita spesse come un laterizio, possano tenere in equilibrio un pennello sulla tela, dare vita con dei colori a quadri che disegnano il suo mondo interiore.
Eppure Abu -Issa ce l’ha fatta e ad Atene è diventato un artista. Sì ad Atene, la capitale greca che è stata l’ultima città toccata dai suoi viaggi.
A Gaza Abu-Issa e i suoi familiari rischiavano la vita, come tutti i suoi abitanti. I razzi sparati dalla vicina Israele, i proiettili, i continui conflitti a fuoco, la disoccupazione sono stati la sua buona motivazione per partire.
Ha viaggiato molto. Prima si è trasferito in Egitto dove è stato con la sua famiglia otto mesi. Ma i suoi figli non erano stati accettati nelle scuole pubbliche egiziane e visto che voleva dar loro un’istruzione ha scelto di partire ancora.
“Non pensavo di venire in Europa – racconta a B-hop -, volevo restare in un paese arabo anche per la maggiore familiarità con il contesto, con la lingua. Nonostante le maggiori difficoltà per integrarsi, in Europa c’è sicuramente molta più calma per i ragazzi”.
Quando hai iniziato a dipingere?
Ho sempre dipinto, ma non ho mai pensato che i miei quadri potessero darmi da vivere. Che potessi dire a mia moglie, ai miei figli: “di lavoro faccio l’artista”. Ma sono stati proprio loro i primi ad apprezzarmi, a credere in me. Ed è stata quella fiducia a darmi coraggio; grazie al sostegno di Issa il mio primogenito,
sono riuscito a vendere ben cinque quadri, una vendita che mi ha permesso di comprare i biglietti aerei per l’Olanda per tutta la mia famiglia. Così potremo intanto ricongiungerci con i miei fratelli e loro famiglie che vivono lì. Una bella soddisfazione no?
Abu-Issa cos’è l’arte per te, cosa vuoi esprimere attraverso i tuoi quadri?
I quadri sono uno sfogo emotivo fatto di materia,
mi permettono di concretizzare attraverso i colori le emozioni, felici o tristi che siano. Di sicuro la libertà è uno dei temi fondamentali delle mie opere.
Ho vissuto tante vite, se così si può dire, tante esperienze. Ma quello che per me realmente conta,
il filo conduttore della mia pittura è la “hurriyat” la libertà. È sempre il mio primo pensiero.
Nei tuoi quadri ritorna spesso il motivo del fiore su uno stelo di filo spinato…
Sì, perché la bellezza continua a nascere anche in contesti di guerra, come quello di Gaza.
E i fiori della bellezza germogliano nonostante il sangue versato.
Molti miei amici a Gaza hanno perso la vita, ma il loro ricordo è sempre vivo in me, e ho il dovere di prendermene cura, come si cura un fiore.
Qual è il quadro per te più significativo?
Quando sono partito dal mio paese e sono venuto qui a Neos Kosmos, fra le varie opere ho realizzato un quadro in quattro pannelli con un albero, i cui rami coprono tutta la struttura del quadro. I quattro pannelli di legno rappresentano le stagioni naturali, ma anche le varie fasi della vita che ogni uomo si trova ad affrontare e vivere. Quello che volevo comunicare è che
nonostante i cambiamenti della vita, sono le radici a definire l’albero, il suo stare al mondo, la sua identità.
Cosa pensi quando dipingi?
Penso a molte cose … Ma alla fine il risultato è sempre qualcosa di inaspettato, porta alla luce delle parti di me che non pensavo di avere. E sono parti sempre “vere” e nuove.
Chi è un artista secondo te?
L’artista è chi è capace di mostrare la realtà, il mondo, attraverso quella lente speciale che sono i suoi occhi.
I miei bambini da quando dipingo sono felicissimi e mi incoraggiano sempre nella mia passione. Avevo paura che i soggetti che dipingevo non sarebbero piaciuti… magari gli ospiti di Neos Kosmos mi avrebbero preso in giro! Ma così non è stato. Ad ogni quadro prendevo sempre più coraggio. È stata la prima volta che ho fatto qualcosa di bello.
Chi è il tuo principale “fan”?
Senza dubbio Issa. Forse è anche la sua malattia che lo ha reso così attento, sensibile all’interiorità e all’arte.
Issa ha 13 anni è nato con una malformazione congenita alla gabbia toracica e spina dorsale che compromette il normale sviluppo degli organi interni.
Soprattutto i polmoni e il cuore sono a rischio… cerca comunque di vivere una vita normale. Vorrei davvero potergli offrire tutte le cure migliori, magari attraverso la vendita dei miei quadri.
Alla domanda se spera un giorno di tornare a casa, gli occhi di Abu-Issa si illuminano.
“È il mio sogno” risponde l’artista palestinese.
“Lì è la mia terra dove sono nato e cresciuto. Non volevo partire, sono stato costretto. Insciallah spero di tornare”.
“Vorrei riuscire a procurami, attraverso la mia arte, quel denaro che mi permetterebbe di ricominciare una vita a Gaza.
Ogni quadro che vendo è un passo in più verso casa.