Germania, Coppa del mondo 2006. E’ il 26 Giugno. A Kaiserlautern, si gioca l’ottavo di finale tra Italia ed Australia. E’ la partita dei perché.
Come raccontano le cronache: pomeriggio tiepido ma con sole. Lo stadio ha il tutto esaurito. Pochi i tedeschi presenti, dopo l’Azteca preferiscono evitarci. Pochi gli australiani, troppo lontana la loro terra. Tanti i tifosi italiani. Molti sono in vacanza ma tanti sono gli emigranti che finalmente, attraverso la loro nazionale, respirano il profumo violento delle loro radici.
La partita si gioca in una terra che ha regalato loro ospitalità, lavoro, ma che spesso li ha fatti sentire anche figli di una patria minore. Non dispiacerebbe a questi uomini e a queste donne se gli 11 in maglietta azzurra lucidassero il loro orgoglio di essere italiani, cittadini di un Paese dove una volta regnava la bellezza.
E qui iniziano i perché. Perché Marcello Lippi, un viareggino che del mare aveva mutuato l’asprezza delle onde in tempesta, ha convocato Francesco Totti, un giocatore appena uscito da un lungo infortunio, oramai considerato sulla strada del declino? Totti ha quasi 30 anni. Alcuni mesi prima, durante una partita di campionato, era stato malmenato da un oscuro calciatore, certo Vanigli. Infortunio grave, di quelli che possono stroncare una carriera.
Perché convocare un giocatore che in nazionale non ha mai mostrato le stesse formidabili doti espresse con la sua squadra, la Roma, e che per giunta, nella migliore delle ipotesi, avrebbe potuto giocare scampoli di partita? Anticonformismo, sfida alla ragione, presentimento?
Sta di fatto che quando l’arbitro, Luis Medina Cantalejo, fischia l’inizio, Totti, seppur seduto in panchina, c’è. La partita scorre lenta, noiosa. L’ Italia dovrebbe travolgere i canguri che, arrivando agli ottavi di finale, hanno già raggiunto il loro massimo obiettivo. Ma non è così. Gli azzurri sembrano incapaci, privi di prendere in mano la partita. Ma al 51° c’è un’altra serie di perché in agguato.
Perché Materazzi, uno dei nostri migliori difensori, compie un fallo inutile fuori area e perché Medina Cantalejo, uno spagnolo, con fama di ottimo arbitro decide per l’espulsione del nostro giocatore? Forse sia l’uno che l’altro, annoiandosi, avevano deciso di creare una suspense?
Gli australiani cominciano a spingere, a divenire pericolosi, per loro raggiungere i quarti significherebbe ottenere un traguardo storico e ricchi premi da godersi in qualche amena località. Lippi, sguardo torvo del marinaio che ha sentito il vento cambiare direzione, effettua due cambi: Gilardino per Iaquinta e Barzagli, un difensore, per Toni, un attaccante. Scelte razionali per una squadra che ora ha una sola priorità: difendersi.
Ma anche lui sta preparando il colpo di teatro. Al 74° fa entrare Francesco Totti al posto di Del Piero. Perché? Perché giocare gli ultimi 15 minuti ed eventuali supplementari con un giocatore a traffico limitato quando in questa partita ora occorrerebbe solo corsa e fiato? Anticonformismo, sfida alla ragione, presentimento?
Uno sguardo del marinaio e Totti è in campo. Fatica, suda, rincorre avversari, ma la sua non è una corsa, è un trotterellare. Gli altri, avversari e compagni, vanno a velocità doppia. Del pallone sente solo l’odore e nulla di più. Nella clessidra i granelli ormai si contano e le due squadre sono rassegnate ai supplementari, ma al 93° proprio Totti trova un taglio perfetto come quello di un grande pasticcere, palla sui piedi di Fabio Grosso che punta l’area, supera un avversario e si schianta in terra. Rigore, generoso, ma rigore.
Totti si avvicina al dischetto con il pallone in mano, non ha il suo solito sguardo guascone, giocherellone, da pupone. Il suo sguardo è concentrato sul portiere avversario, si guardano e si sfidano come in un duello all’ultima pallottola, forse c’è anche una musica di Morricone che aleggia nello stadio.
La mascella è contratta, l’aria è immobile, sospesa. Nella vita di un campione, come probabilmente in quella di ciascuno, c’è sempre un bivio. “Er pupone” è cosciente che un tocco maldestro lo spedirà nel buio della notte mentre un tocco di bellezza infinita lo sparerà nel cielo più azzurro. Quel tocco, che è rimasto nella memoria collettiva, fu perfetto come solo ciò che è sublime riesce ad esserlo. E fu da allora che “il cielo divenne azzurro sopra Berlino”.