di Walter Falgio – «Il lettore non troverà, in questo libro, né il romanzo, né la storia. Sono ricordi personali, riordinati alla meglio e limitati ad un anno fra i quattro di guerra ai quali ho preso parte. Io ho raccontato che quello che ho visto e mi ha maggiormente colpito. Non alla fantasia ho fatto appello, ma alla mia memoria». Sono le parole di Emilio Lussu, combattente durante la Prima guerra mondiale, fondatore del Partito Sardo d’Azione, leader antifascista e protagonista della Resistenza, deputato all’Assemblea Costituente, ministro e senatore.
Parole contenute nella prefazione a Un anno sull’Altipiano e scritte a Clavadel, località vicino alla città svizzera di Davos, nell’aprile del 1937, durante la lunga convalescenza dovuta all’aggravarsi di una malattia polmonare contratta in carcere e alle conseguenti operazioni.

Da queste righe prende le mosse una meticolosa rilettura dell’opera lussiana curata dalla critica letteraria Daniela Marcheschi (Per rileggere Emilio Lussu, Libreria Ticinum Editore, 2021) nel solco dei primi due seminari internazionali di studi promossi dal Festival Premio Emilio Lussu e dall’associazione l’Alambicco a Cagliari e ad Armungia tra il 2018 e il 2019.
Il lavoro collettaneo riporta anche i saggi di Fernando Molina Castillo, Francis Pascal, Gian Giacomo Ortu, Guido Conti, Alberto Cabboi, Daniela Matronola e Luis Marinho Antunes.
Pubblicato in Francia nel 1938 e in Italia nel ’45, dopo la caduta del regime fascista e la Liberazione, il celebre libro del capitano Lussu voluto da Gaetano Salvemini racconta la guerra dei fanti della Brigata Sassari, dei reggimenti 151esimo e 152esimo composti da soldati sardi, tra i mesi di giugno del 1916 e luglio del 1917.
La guerra “cadorniana” degli assalti continui e disperati sull’altipiano di Asiago.
E lascia una testimonianza di questa guerra: Marcheschi sottolinea che quella di Lussu, «in piena coerenza con la cultura socialista del tempo», è proprio una testimonianza davanti al tribunale morale e politico della storia.
Sul banco degli imputati siedono gli alti comandi, irresponsabili, incapaci, impreparati e soprattutto indifferenti dinanzi al destino dei soldati provenienti dai ceti popolari. Il testimone Lussu, anche uomo di legge, era ben conscio del valore rivoluzionario delle sue parole, del suo contributo in qualità di «persona a conoscenza del fatti».

Alla luce di queste considerazioni Marcheschi invita a interpretare lo scritto lussiano non solo in chiave autobiografica: è difficile racchiudere in una definizione unitaria Un anno sull’Altipiano, «un’opera che va vista a tutto tondo, mobile, che sempre si intreccia con ciò che l’uomo e il politico sperimentano di volta in volta».
Una «narrazione-prisma che sfugge a ogni definizione univoca», scrive l’autrice che è anche presidente del comitato scientifico del Premio Lussu.
La difficoltà intrinseca di “etichettare” l’opera e i caratteri del combattente di Armungia emerge anche dal saggio dello storico del diritto Italo Birocchi contenuto nel secondo volume pubblicato dal Premio Lussu, curato da Gian Giacomo Ortu, che riporta gli atti del terzo e del quarto seminario internazionale del 2020 e 2021: Emilio Lussu civilis homo, Libreria Ticinum Editore, 2021 (con interventi di – oltre i già citati Marcheschi, Birocchi, Ortu, Cabboi e Antunes – Giovanna Granata, Luisa Maria Plaisant, Federico Francioni, Giuseppe Caboni, Michele Pinna, Silvia Tomasi e Cristina Lavinio).
«Lussu fuoriesce dalle tipizzazioni usuali», afferma Birocchi, ragione da cui sono derivate e derivano sovente ricostruzioni leggendarie. «Se si applicasse la tecnica dell’algoritmo – continua lo studioso – probabilmente egli verrebbe ascritto alla categoria dell’uomo politico […] ma certamente non fu un professionista della politica e si può dubitare che gradisse essere racchiuso in quella qualifica».
Ma è proprio la categoria di homo civilis che probabilmente meglio si attaglia al profilo del leader armungese, contrario a ogni imposizione colonialista e imperialista, proiettato verso «le forme di consorzio create dall’uomo», il sindacato, il partito, le iniziative cooperativistiche, intesi come elementi fondanti della democrazia che – diceva Lussu all’Assemblea Costituente il 15 settembre del ’47 – «rivive in qualunque parte i cittadini vivano la loro vita collettiva e partecipino consapevolmente alla vita dello Stato».
Emilio Lussu. Elaborazione grafica di Stefania Costa per il Festival Premio Lussu 2022Considerazioni che si riconnettono infine con il principio di autonomia, stella polare del pensiero di Lussu, «istanza di democrazia basale», sottolinea in uno dei suoi saggi contenuti nei lavori editi dalla Libreria Ticinum lo storico Gian Giacomo Ortu, tra l’altro curatore e promotore dell’importante raccolta di tutte le opere lussiane giunta al quarto volume. L’autonomia, lungi dall’essere ridotta alla sola dimensione istituzionale, per l’antifascista sardo «attiene all’intera dimensione di vita dell’uomo in società» e al rapporto con i suoi simili.
L’autonomia in Lussu è il fondamento della libertà e della democrazia che consente la partecipazione di tutti i cittadini alle dinamiche della comunità politica.
Una forma di autogoverno popolare che si manifesta come «un’esigenza generale». Diceva lo stesso Lussu in un discorso pronunciato a Parigi nel ’31:
«Teocrazia, paternalismo, illuminismo, dittatura, centralismo burocratico totalitario sono per noi termini analoghi: secondo essi tutto un popolo deve marciare a passo militare o di processione dietro l’unto del Signore, o l’inviato dalla Provvidenza o il genio della Stirpe o il principe degli Archivi. Tutto viene dall’alto. Autonomia significa esattamente tutto il contrario. Tutto deve venire dal basso: le capacità e le forze si esprimono e si sviluppano alla base. Senza questo il concetto di libertà è una chimera».