(di Filippo Bocci ) – “Per questo libro ho usato l’italiano e mi merito un 6+ perché la mia lingua è il siciliano. Io l’italiano l’ho imparato a scuola, e devo dire che mi è anche piaciuto”. Così un sempre arzillo Andrea Camilleri – “I pettegolezzi dicono in giro che ho 92 anni” – quasi si giustifica presentando il 18 ottobre a Roma, a Palazzo Barberini, intervistato da Serena Dandini, la sua ultima opera letteraria, Esercizi di memoria (Rizzoli pp. 240, euro 18).
Si tratta di 23 racconti in cui passa la storia del nostro paese tra teatro, letteratura, cinema, costume e televisione e ci si ritrova in compagnia di grandi personaggi come Pirandello o Eduardo De Filippo, Vincenzo Cardarelli piuttosto che Michelangelo Antonioni, filtrati dall’occhio sapiente e ironico del maestro di Porto Empedocle. Il libro è arricchito dai disegni di alcuni dei migliori artisti italiani:
“È una rivincita sulla cecità aver inserito dei disegni che non potrò mai vedere”.
Super sidera notus per essere il papà del commissario Montalbano, Camilleri è stato, si sa, tante altre cose; innanzitutto regista teatrale soprattutto di drammi di Pirandello – “Era un umorale, un giorno fascista, il giorno dopo antifascista” – ma poi anche Ionesco, e per primo ha portato Beckett in Italia con Finale di partita. Ha lavorato a lungo in Rai come delegato di produzione, contribuendo al successo di importanti serie televisive come Il tenente Sheridan o Le inchieste del commissario Maigret. Poi il successo planetario, in tarda età, come scrittore quando, alle avventure dell’arcinoto commissario dell’immaginata Vigata, affianca robuste opere di carattere storico, come Il birraio di Preston, La concessione del telefono e La mossa del cavallo.
“Quando scrivo ho sempre in mente la trapezista. La vedi volteggiare ma non cogli la paura o lo sforzo. Ecco, non si deve percepire lo sforzo dello scrittore”.
Camilleri purtroppo ha ormai perduto la vista ed il libro è stato scritto sotto dettatura, ma lui quasi ne sorride, affrettandosi a dire che gli altri sensi, come il tatto e l’olfatto, si sono acuiti e “se a mancarmi sono soprattutto i colori, io ora sogno a colori”, e giù a raccontare di aver sognato di essere a Milano e di correre in stazione per prendere un treno vestito da sgargiante clown.
Improvvisamente il Maestro diventa serio, e parlando dello ius soli, dice: “Gli italiani sono sempre stati razzisti, inutile nasconderlo. Ricordo negli anni ’60 i cartelli sui portoni della case con scritto ‘Non si affitta ai meridionali’. Porca miseria, non hanno capito che gli altri sono te stesso che ti guardi allo specchio. E hanno pure la memoria corta, non si ricordano di essere andati in America e che i loro figli sono diventati cittadini americani”.
E poi ancora aneddoti e battute di chi è capace di costruire una scena di teatro su piccoli avvenimenti, di creare magia col niente, di meravigliarsi come un fanciullo.
“Io sono stonato e non oso cantare neanche in bagno, quindi chiamatemi contastorie, non cantastorie”. E infine rivela il segreto del successo della sua lunghissima vita matrimoniale: “Sono sessant’anni che mia moglie è paziente con me, credo dovrebbe essere santificata”.
Ma la più bella di tutte è quando Serena Dandini gli ricorda che c’è chi vorrebbe rifare la marcia su Roma: “La prima me la sono persa, parteciperò a questa. A 92 anni, quando mi ricapita!”.
Un grande, semplicemente.