Sono trascorsi ormai dieci anni da quella misteriosa e tragica notte di febbraio in cui muore “Il Pirata”. Marco Pantani, quel piccolo atleta di soli 50 kg di peso, è divenuto, nella memoria comune del ciclismo mondiale, un gigante. Come le montagne che lui amava conquistare. La notizia, inaspettata e maledetta, parla di cause sconosciute ma si sospetta una overdose. La sua storia controversa, piena di dubbi e interrogativi sull’effettivo uso di doping, è diventata leggenda.
Pantani era nato a Cesena, a 44 m. s.l.m., quindi ridente cittadina più prossima al mare che ad un qualsiasi cucuzzolo. Eppure, nonostante fosse cresciuto sulla riviera romagnola, è stato per anni l’indiscusso “re delle montagne”. Viene da immaginarsi che in un’altra vita Pantani fosse stato una poderosa aquila reale o magari il più agile degli stambecchi o ancora, forse, una divinità ospite di una vetta più vicina al cielo che alla terra. Sta di fatto che quando la strada cominciava ad inerpicarsi “il Pirata” issava la sua bandana e, alzandosi sui pedali, beveva avidamente asfalto ed avversari.
E’ così nel 1994, al suo secondo Giro d’Italia. La tappa prevede l’ascesa del terribile e temuto Mortirolo, considerato da tutti i professionisti come una delle ascese più sfiancanti d’ Europa. Ci si arrampica su una tortuosa ex mulattiera che fino a 4 anni prima non era neanche asfaltata. E’ lì che il giovane e promettente “Pirata” decide di rivelarsi. E’ su quelle pendenze, a tratti superiori al 18%, che mostra le proprie terga vincenti a mostri sacri quali Berzin ed Indurain.
E’ così l’anno seguente, al Tour de France, quando scatena l’inferno sugli aspri Pirenei. Quarantadue km di fuga per raggiungere vittorioso il Guzet Neige. E poi ancora montagne conquistate nel 1998, quando Pantani riesce nell’impresa rara di vincere, nello stesso anno, Giro d’Italia e Tour de France.
E come non ricordare quel Tour del 1998, la quindicesima tappa. Pantani ha quasi 5 minuti da recuperare alla maglia gialla indossata dal tedesco Jan Ullrich, (aveva perso 4’21” nella cronometro di Corrèze). Decide di sferrare un micidiale attacco a quasi 50 Km dall’arrivo attaccando su un’altra montagna sacra per i ciclisti: il colle del Galibier. Giunge a Les Deux Alpes in solitaria con quasi nove minuti di vantaggio sul rivale. Quel giorno “il Pirata” prende la maglia gialla e non la molla più fino al traguardo dei Campi Elisi.
Ma è ancora così anche nel 2000, dopo aver vissuto due anni terribili. Ancora Tour. Marco non è più lui, dopo lo scandalo doping sembra essersi smarrito. Eppure il 13 luglio decide che quel giorno non appartiene solo alla storia della Francia e va a vincere sul Mont Ventoux davanti a Lance Armstrong. Successivamente il ciclista americano, futuro vincitore delle seguenti edizioni (tutte revocate per lo scandalo doping del 2012), afferma di averlo lasciato vincere.
Per Marco è l’ennesima onta, una umiliazione da rispedire al mittente. Quattro giorni dopo, infatti, sui tormentati pendii di Courchevel, Pantani scatta: rispondono Richard Virenque e Armstrong. Dopo alcuni km si stacca Virenque e rimangono solo Pantani ed Armstrong, ma sotto il traguardo, a passare per primo ed in solitaria, è “il Pirata” staccando il rivale Armstrong di 51 secondi.
Questa è stata la sua ultima grande impresa, la sua ultima montagna conquistata. Cosa lo spingesse ad andare oltre i limiti della sofferenza è difficile dirlo. Magari la volontà di ascoltare il respiro silenzioso della montagna, che si sposa inaspettato con quello festante di migliaia di appassionati. O forse il sogno di tornare ad essere la poderosa aquila reale, l’agile stambecco o la superba divinità. Ma sicuramente non mancò nel “Pirata” il desiderio di arrivare primo lassù, dove tutto è armonia e dove il traguardo rappresenta una porta aperta verso l’infinito.