(di Margherita Vetrano) – Tanto lo sapevo che arrivava. Era da tempo che scampavamo le epidemie e quest’anno abbiamo capitolato con tutte le scarpe…e mi sta bene, per aver osservato le altre mamme in preda al panico, con quell’aria di sufficienza che fa tanto: “A me no, non capiterà nemmeno quest’anno!”. E invece l’influenza è arrivata.
Tutto è iniziato con Didi: “Driiiiin, Driiiin”- “Pronto? Si, sono la mamma”.
“Signora, suo figlio ha la febbre alta, deve venire a prenderlo!”
“Grazie mille, arrivo”.
Esco di corsa dall’ufficio a dispetto dei tacchi alti e mi precipito a scuola per vedere come sta. Lui, come tutti i piccoletti, non manifesta grossi sintomi se non una mogeria (neologismo da mogio) che proprio non gli si addice.
Mi sorride con gli occhietti lucidi e le guance rosso vivo mentre mi si abbarbica forte al collo. Gli metto il giaccone e saluto le maestre, già so come andrà a finire…ci si rivede tra non meno di 15 giorni. Da noi le influenze vanno così.
La sera la temperatura s’impenna e nonostante la tachipirina devo ricorrere a vari impacchi freddi per aiutarlo a migliorare.
Finalmente si addormenta ma il respiro è caldo ed affannato. Si risveglierà più volte durante la notte ma sono pronta, il decorso è questo.
Il sabato mattina mi sveglio rintronata, lui sta sempre male e proseguiamo le normali attività in un’alternanza di tachipirina/non-tachipirina ma so bene che ci vogliono almeno tre giorni prima che la febbre svanisca.
Quando però mio marito mi dice: “Non mi sento tanto bene, mi sa che devo avere un po’ di febbre”, mi si gela il sangue.
E così “La febbre del sabato sera” non perdona e continuo a ballare!
Domenica cerco di salvare Bianca e Giorgio dai microbi che si aggirano per casa, portandoli ad una mostra in centro, (loro, non i microbi) per tutto il giorno.
Niente da fare…domenica sera, Giorgio capitola e si unisce alla schiera degli appestati. Io sono provata soprattutto dalla prospettiva della settimana lavorativa che incalza.
Con il consorte fuori combattimento i “turni di notte” sono tutti miei e lunedì si torna in ufficio. Posticipo strategicamente la sveglia, io e Bianca ci prepariamo molto velocemente, così posso guadagnare una mezz’ora di sonno.
Fuggiamo dal lazzaretto che non sono le otto ed iniziamo la nostra giornata. Al mio rientro, vengo accolta da bambini febbricitanti e mocciosi ma con mia grande soddisfazione, il marito sta meglio. C’è luce in fondo al tunnel!
Così, mentre mi accingo ad andare a prendere Bianca, il mio buonumore è tangibile anche se non avevo valutato tutte le opzioni.
”Driiin driiin”. “Pronto, si mamma, dimmi pure?! Papà sta male,?!…arrivo!”
Giusto il tempo di capire che anche il nonno è caduto sotto i colpi dell’influenza e mio marito è già un ricordo, fuori dalla porta. Non mi resta che ricorrere alla “task-force di mamme operative” perché mi riportino Bianca a casa; devo restare coi maschietti.
La giornata finisce tra turni di aerosol, impacchi freddi, pance vuote e mal di testa collettivo, in attesa che rientri anche papà.
Andiamo avanti così per qualche giorno; mio marito mi dà il cambio per le notti e mi barcameno coi vicini di casa per guardare occasionalmente i bambini ma ormai l’influenza ce l’ho anch’io.
Fortunatamente pare che negli adulti svanisca presto, con un’aspirina e un po’ di riposo.
Beh, venerdì mattina ho delle occhiaie da competizione ma la soluzione ce l’ho: un bel rossetto rosso squillante!
Le Wonder mamme non si scoraggiano mai!
