Ovvero come fu che Egonu, Malinov, Chirichella e Compagne cantarono forte l’Inno d’Italia
Volley, sempre Volley, fortissimamente Volley: le “ragazze terribili” della nazionale italiana di Volley delle donne italiane hanno vinto l’argento ai mondiali giapponesi, ma a noi, umanamente, civilmente, ma ce ne importa qualche cosa se han vinto “solo” l’argento?
In una finale senza respiro giocata il 20 ottobre a Yokohama, il killer instinct lo hanno avuto le algide, monocromatiche, fortissime atlete della nazionale della Serbia.
Ma a noi, che abbiamo una meraviglia multicolore, a supporto della nostra bandiera con i colori della speranza, della pace e della vita, quell’argento mondiale risuona forse ancora di più di un oro, che, a dirla tutta schifo schifo non ci avrebbe fatto, ma forse sarebbe stato un punto di arrivo per una squadra perfetto mixage di esperienza e sfacciataggine giovanile, che ha solo iniziato a farci vedere di cosa è capace.

Ovvero come fu che nacquero le Italiane. Cavolo che bella partita che è stata, ha vinto non la più forte, perché le due squadre si sono equivalse: ha vinto la più crudele e sadica, quella che ha avuto da pensare solo a giocare e non anche al fatto che a casa sua esistano ancora reperti paleozoici decerebrati cosmici che fanno di un nome e di un cognome, corredati da una tonalità di pelle più o meno palliduccia, un motivo di vanto e discriminazione, incapace di godere di tanta esplosiva magnificenza umana.
Tutto è godimento oggi, è l’esaltazione della fierezza, della speme italica composta da secoli e secoli di codice genetico proveniente da ovaie e spermatozoi di latini, vandali, etruschi, berberi, slavi, greci, sabini, bizantini, francesi, aragonesi, galiziani, tedeschi, olandesi, maliani, cinesi, russi, polacchi, traci, daci e burgundi, ostrogoti e normanni, libanesi e cretesi, e pure albionici e vichinghi, passando casomai attraverso qualche ivoriano, nigeriano e ottentotti.
Questa è la nostra Italia del Volley, questa è la nostra Italia in cui viviamo, cresciamo e camminiamo.
E si perdano compulsivamente senza soluzioni di continuità quelli che pensano che esista una razza italiana pura di non si sa qual origine misteriosa: volgari reminiscenze escrementizie di follie pseudo-scientifiche che Lombroso e la Terra piatta in confronto sono produzioni degne del premio Nobel.
La nostra meravigliosa Italia oggi è così bella proprio perché noi siamo sempre stati, e sempre lo saremo, punto di incontro e di trionfo dello scambio.
L’Italia, lunga e stretta delle montagne e delle Isole, ha figli che partono e scappano verse terre lontane (terra forzatamente di navigatori e di poveri) e figli che nascono da uomini e donne che dall’Italia son stati accolti.
La nostra Italia del Volley delle donne italiane, con la sua freschezza, con la libertà gioiosa dell’essere atlete, con la testimonianza di unità e felicità è stata commovente.
Una commozione che non è solo patrimonio dello sport di squadra, ma è tipica di chi vive una vita fatta di sfide, di vittorie e sconfitte: questa Italia del Volley è l’esempio di come chi afferma che “L’Italia prima agli Italiani” ha proprio ragione: prima gli Italiane e gli Italiani, prima coloro che respirano l’aria di questo nostro martoriato e sbeffeggiato Paese, che rialza sempre la testa, la tiene sempre un millimetro più in alto del guano, urlando al mondo i nomi ed i cognomi di queste splendide ragazze, eredi di quelle Sabine rubate dai Romani; che in realtà erano un po’ Etruschi; che forse avevano sangue Nuragico; che però poteva appartenere agli Shrdn dei Popoli del Mare; che giungevano in parte dalla Palestina ed anche dall’Arabia; ed in parte dall’Africa e che sì, siamo sempre stati un casino assoluto.
Viva l’Italia dei mille colori, dei mille sapori, dei mille profumi, dei mille dialetti e dei mille paesi, dei mille formaggi e dei mille salumi! E delle mille e mille vittorie delle sue magnifiche figlie e figli!
E allora onore e gloria d’argento a:
La capitana Cristina Chirichella, coi suoi capelli azzurri;
Miriam Sylla, la cattiveria agonistica impersonificata;
Lucia Bosetti, la serietà imperturbabile della schiacciata;
Paola Egonu, la killer col sorriso;
Monica Di Gennaro, libera d’essere donna ovunque;
Anna Danesi, la puntualità alla bisogna;
Elena Pietrina, la modella del Pollaiolo;
Carlotta Cambi, sempre presente;
Ofelia Malinov, fierezza tracia in salsa bergamasca;
Sarah Fahr, teutone dalla mano di ferro;
Sylvia Nwakalor, cacciatrice di ogni pallone;
Marina Lubian, il cigno di Moncalieri;
Serena Ortolani, l’esperienza di mille battaglie;
Beatrice Parrocchiale, verso il futuro ed oltre.
E balliamo con Davide Mazzanti, l’allenatore, il mentore, l’anfitrione di queste Italiane d’argento.