di Giulia Segna – Julio e Sofia sono fidanzati da sei anni. Lui è originario del Camerun, lei di Milano. La diversità culturale è un punto di forza della loro coppia: la scoperta reciproca è continua ed entusiasmante, ma non mancano le difficoltà e i compromessi.
Si sono conosciuti nel 2014 ad una festa universitaria, in un locale milanese. Julio è stato colpito dalla fluidità di Sofia nel parlare francese, lei dalla dolcezza di quel ragazzo tanto timido quanto coraggioso, arrivato da poco in Italia per motivi di studio.
“La diversità culturale mi ha sempre attratta”, spiega Sofia a B-hop, “e a dirla tutta, non avevo mai avuto occasione di parlare con una persona africana, poterlo fare in quel momento mi elettrizzava”.
Il paese natale di Julio è il Camerun, nell’area equatoriale del continente, pieno di possibilità formative e professionali ma “solo se conosci qualcuno che conta o sei figlio di”, chiarisce lui.
È per questo che, finito il liceo, ha voluto proseguire gli studi all’estero. Dopo un anno di attesa per ricevere i documenti d’ingresso e un corso di lingua italiana, è approdato all’Università statale di Milano dove si sta per laureare in ingegneria aeronautica. Al momento svolge un tirocinio retribuito, mentre Sofia, con cui convive, lavora in un’azienda che si occupa di sostenibilità ambientale.
Sono innamorati, felici e coscienti che
la diversità culturale rappresenta il punto di forza della coppia e, insieme, la principale fonte di discussione.
“Lealtà e rispetto reciproco sono gli elementi che rendono solida la base della nostra relazione”, raccontano, “e abbiamo la sensazione che ci sia sempre qualcosa da imparare da e attraverso l’altro, più che in una relazione tra persone della stessa cultura. Questo accade sia nelle piccole cose della quotidianità che per i modelli valoriali; ogni giorno c’è qualcosa di cui stupirti, scopri sempre cose nuove, non ti annoi mai“.
Una coppia interculturale, vivace, dinamica, che fa continua esperienza della diversità. Ogni significato attribuito alle cose è il risultato di una negoziazione, di un dialogo, di un compromesso.
Tra gli aspetti più critici, su cui ancora discutono ogni tanto, quello della stregoneria: “Per quanto attraente, non credo assolutamente a tutto ciò che è stregoneria”, sottolinea Sofia, “va al di là della razionalità scientifica e proprio non riesco a convincermi che esistano persone con poteri che possono farti accadere qualcosa”.
Per Julio, invece, questa ipotesi è totalmente credibile, anche se un po’ attenuata da quando è nel nostro paese.
“In Camerun non si pensa mai che qualcosa sia successa naturalmente o casualmente. È difficile credere a un incidente o una morte casuale perché è molto radicata la convinzione che ci siano spiriti cattivi, persone invidiose o vendicative che hanno sperato che qualcosa ti accadesse”.
Ogni volta che sente la mamma al telefono, lei gli ricorda di pregare per allontanare la negatività. “Continuo a crederci ma ho imparato a credere anche alla naturalezza degli eventi”.
La relazione con le rispettive famiglie è un altro degli aspetti in cui emerge di più la diversità culturale: sebbene i genitori di Julio, prima della sua partenza, fossero contrari al fidanzamento con una ragazza bianca, oggi si dicono grati a Dio per aver messo Sofia sul cammino del figlio.
“A questi continui rimandi alla fede io non so mai come rispondere”, ammette lei, “ma capisco il significato che ha per loro e sono contenta di come si comportano con me. Mi fanno sentire accolta, abbracciata. Chiedono sempre di me, mi cercano, sono curiosi“. “In effetti”, interrompe Julio, “mi hanno sorpreso, non credevo che sarebbero stati così accoglienti verso Sofia. In Africa c’è un po’ lo stereotipo della donna occidentale che vuole controllare il proprio marito, vuole comandare e avere potere anche sui figli. Si dice che se un uomo sposa una bianca rischia di perdere la propria dignità”.
I genitori di Sofia, al contrario, sono estremamente discreti, “anche troppo” dicono i ragazzi. Non mostrano grande curiosità verso Julio e questo li fa dispiacere. Quando la figlia ha comunicato che stava frequentando un camerunese le hanno risposto “ah, deve essere molto alto!”, un commento strampalato che tradiva un certo disagio.
A distanza di sei anni, le cose non sono cambiate un granché: ancora adesso sembra che abbiano timore di rivolgergli domande, forse per paura di inciampare nell’odioso politically incorrect. “Una delle cose che li angoscia di più”, spiega Sofia, “è che lui possa prendere decisioni di cui potrei soffrire, come quella di tornare in Camerun, ma se lo conoscessero non avrebbero di che preoccuparsi”.
Di fronte allo schermo del pc, in videochiamata per l’intervista, i due si scambiano sguardi e sorrisi d’intesa, ma non eccedono in smancerie. Come per ogni dinamica sociale, anche la manifestazione d’affetto è culturale e non naturale.
Nel primo periodo in Italia, infatti, Julio era infastidito dalla fisicità delle coppie per strada: “non la vedevo bene, non ero abituato a vivere l’amore in quel modo, ma quando Sofia ha cominciato a lamentarsi di questa mancanza – forse lo fa anche adesso, non so se l’abbiamo superato del tutto – ho provato ad accettare un po’ questa cosa”. “Addirittura”, scherza lei, “si faceva problemi a darmi un bacio quando ci incontravamo o a tenermi per mano davanti agli amici”.
Nonostante le peculiarità caratteriali e le diversità culturali, Sofia e Julio insieme stanno bene, si divertono e parlano spesso del futuro.
Una delle prossime tappe è la visita ai genitori di Julio, in Camerun. Non li vede da quando è partito, perché non ci è mai più tornato. “Quando rientri dall’Europa”, precisa lui, “non importa che stile di vita hai, che tu sia studente o lavoratore, l’importante è che porti dei regali e se non lo fai le persone ci rimangono male, si offendono, ne parleranno tutti. Almeno la prima volta che torni devi portare qualcosa. Pensano che sia impossibile non riuscire a mettere da parte dei soldi mentre sei in Europa, perciò aspettano dei regali“.
Non una scatola di cioccolatini né un oggetto per la casa, ma doni di un certo valore: cellulari, gioielli, profumi costosi, scarpe e abiti di marca. “Aggiungici che la famiglia in Camerun ha un senso molto più ampio che in Italia”, evidenzia Sofia. “Il regalo devi portarlo ai genitori, ai fratelli, alle nonne, agli zii, ai cugini e agli amici più stretti”.
Così, per non offendere nessuno, Julio ha sempre evitato di tornare a casa. “Fa parte dello stereotipo dell’Europa ricca, dove c’è facilità di trovare lavoro e fare soldi. Forse i miei genitori hanno capito che non è proprio così dai miei racconti ma in tantissimi ancora hanno questa idea”.
Molti amici africani di Julio, per non deludere le aspettative dei familiari, quando rientrano a casa sfoggiano una ricchezza che in Europa, in realtà, non hanno. “Alcuni pagano a stento l’affitto di casa o sono costretti a fare più lavori”, aggiunge Sofia, “così non fanno altro che rafforzare lo stereotipo dell’Europa ricca e incoraggiano l’emigrazione. Mi rendo conto che è un aspetto culturale molto importante e delicato; contribuirò alla spesa per i regali a patto che Julio spieghi che abbiamo fatto dei sacrifici per comprarli”.
Arriveranno a una decisione che rassereni entrambi, nel frattempo Julio ragiona sul fatto che questo atteggiamento potrebbe favorire, in effetti, le partenze – anche illegali – verso l’agognata Europa.
“Nessuno ha il coraggio di sfatare questo tabù perché si ha paura che la gente non ti creda e ti guardi male”.
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