Le quasi mille vittime del naufragio, avvenuto nel canale di Sicilia qualche giorno fa, hanno ottenuto un solo obiettivo: alimentare la paura. La paura che orde di immigrati famelici e criminali, provenienti da chissà quale remoto posto del mondo, possano invadere le nostre belle città ed espropriarci della civiltà e delle ricchezze accumulate con grandi sforzi e sacrifici.
“Fortunatamente” – amara ironia – la comunità e gli organismi internazionali sembrano avere individuato la soluzione giusta per proteggerci da codesta aggressione: bombardare, con l’uso di droni, i battelli degli scafisti. Eccola la soluzione definitiva, ma cosa ci voleva ad individuarla? Un chiaro atto ostile in terre o acque non internazionali e si risolve la questione. Insomma, per dirla in modo chiaro e senza ipocrisie, una bella guerra. Anzi, considerando l’internazionalità dell’intervento, chiamiamola war.
D’altro canto le cifre parlano chiare. Nel 2014, secondo fonti del Ministero dell’Interno, sono state 170 mila le persone che hanno raggiunto le coste della Sicilia. Quest’anno se ne prevedono circa 200 mila. Giocando per un attimo con i numeri e considerando che le regioni in Italia sono 20, ogni regione ha dovuto accogliere, mediamente (in realtà i numeri vengono distribuiti in proporzione agli abitanti della regione e alla disponibilità o meno dei sindaci), almeno 8.500 invasori. Di fatto, la realtà è che un terzo dei migranti accolti attualmente (73.883) è distribuito in due regioni: Sicilia (22%) e Lazio (12%). Il Veneto è tra le grandi regioni del Nord che ospita meno persone (4%), mentre chi ha meno migranti è la Valle d’Aosta (solo 62, lo 0% della popolazione).
Oppure, sempre continuando a giocare con i numeri, una metropoli come la capitale d’Italia, potrebbe aver ricevuto l’invasione di quasi 5.000 “aggressori”. Ben un “malfattore straniero” ogni 600 cittadini romani. Per non parlare di quello che costa all’Italia assistere e dare da mangiare a queste “bande di ladri”: addirittura lo 0,9% del bilancio statale. Pensate con lo 0,9% salviamo e sfamiamo addirittura 170.000 “delinquenti”. Ed allora war agli scafisti, agli schiavisti del terzo millennio, ai nuovi Caronte. Anche se, alla parola war, una o più domande sorgono spontanee.
Quindi ci si dovrebbe domandare se gli organismi internazionali hanno a fondo valutato quali conseguenze porterebbero queste azioni belliche in un’area, come quella medio-orientale, alla quale sarebbe sufficiente una ulteriore piccola miccia per detonare definitivamente. Oppure chiedersi quanto, tutto ciò che gravita intorno al Califfato, strumentalizzerebbe la war ai propri fini, magari rappresentandola come l’ennesima crociata contro l’Islam. E perchè non domandarsi anche quanto tutto ciò costerebbe in termini di vite umane, di nuovi distruzioni, di denaro impegnato? Ed in particolar modo, ci si potrebbe anche chiedere se la comunità e gli organismi internazionali saprebbero trovare una ulteriore alternativa per salvare le migliaia di persone che non potrebbero più fuggire, da guerre civili, fame, carestie, malattie ed infinite atrocità.
Già, come salvarli senza i droni da scatenare contro gli scafisti? La soluzione forse può risultare ingenua, al limiti dell’utopia: imbarcare gli immigrati in normali voli di linea e aprire loro le frontiere. In questo modo automaticamente si eliminerebbero tutti i Caronte ed i loro cinici traffici, non avremmo più tragedie del mare e nessuna guerra dalle incontrollabili conseguenze. Per tornare ai giochi di numeri, la capitale d’Italia, che ospita un milione di turisti al mese, non se ne accorgerebbe neanche di 5000 immigrati all’anno. Immigrati che non sono malfattori, ladri, criminali, stupratori, assassini, ma semplicemente persone. Non vengono per rubare i nostri averi o invadere la nostra civiltà, vengono solo per fuggire dalle loro tragedie, per cercare lavoro ed apportare, attraverso una normale integrazione, le loro capacità, esperienze e culture.
Gli immigrati, opportunamente integrati nel sistema produttivo, apportano benefici all’economia del Paese che li ospita. L’OCSE ha proprio recentemente fatto questa analisi. Da un lato, gli immigrati hanno, in media, una età che si traduce in un quadro più favorevole per spese sanitarie o pensioni, che porta a un impatto positivo sulle finanze pubbliche, cioè le tasse che pagano sono maggiori dei servizi che loro effettivamente ricevono. D’altra parte, la stessa struttura di età degli immigrati si traduce in maggiori spese per l’istruzione, a causa del fatto che essi hanno più figli in età scolare. Ma considerando entrambi i fattori, nonché contabilizzazione delle spese previste per politiche attive del mercato del lavoro (molti studi mostrano come nei Paesi dell’Europa meridionale, come la Spagna e l’Italia, gli immigrati usufruiscono meno dei servizi di welfare anche a causa del loro più basso livello di istruzione), l’impatto fiscale complessivo in termini di Prodotto interno lordo è positivo per l’Italia come per la maggior parte dei Paesi europei.
Gli effetti positivi in termini economici dell’immigrazione, tuttavia, non si esauriscono nel loro impatto sulle finanze pubbliche. L’immigrazione assume un’importanza economica particolare in un Paese come l’Italia che ha forti problemi di invecchiamento della popolazione. Il prossimo decennio, infatti, vedrà un calo significativo della popolazione in età lavorativa e dunque della forza lavoro in Italia, come in molti altri Paesi europei. E allora ai “Ministri della paura”, ai fanatici dei trattati stipulati per innalzare mura invalicabili tra nazioni, ai cultori della war, possiamo rispondere con le parole scritte in “Utopia”, nel 1516, dall’insigne umanista inglese Thomas More (Tommaso Moro): “A che serve un trattato, quasi non bastasse la natura ad assicurare fra gli uomini una reciproca benevolenza? “
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