(di Maria Ilaria De Bonis) – Dopo 19 giorni di attesa, infinite notti al largo e snervanti trattative infruttuose, finalmente gli 83 passeggeri della Open Arms sono sbarcati a Lampedusa.
Grande tripudio dell’equipaggio, festa all’attracco e cori di benvenuto da parte dei sostenitori che li attendevano a terra.
Ad accoglierli anche i volontari del Forum Lampedusa Solidale che hanno dormito per 15 giorni sul sagrato della chiesa di san Gerlando, in segno di solidarietà.
«Questo gesto non è di protesta ma è una sincera manifestazione di solidarietà e vicinanza a tutte le persone che sono in questo momento ancora in balia del mare e dei capricci dei potenti», scrivevano sui social.
E’ stato un presidio silenzioso il loro, illuminato ogni sera dalla luce di lanterne di vetro che rappresentano simbolicamente la giusta rotta, l’accoglienza.
Tra le colonne di marmo avvolte nell’oro delle coperte termiche, sui gradoni della chiesa, ogni sera gli attivisti si sono ritrovati per parlare, leggere libri, articoli della Costituzione. Dormire insieme.
«Le parole le usano tutti, noi vogliamo usare invece i nostri corpi – avevano annunciato – senza schierarci contro nessuno, ma solo manifestando solidarietà a chi sta sulle nave e non può attraccare».
Su Facebook scrivevano: «buon appetito a tutte le persone costrette ancora oggi sulla Open Arms. Il prossimo pranzo si fa tutti insieme, a terra! #freeopenarms Perché per noi l’ospite è un dono e condividere il cibo un privilegio e una gioia. Noi buonist* siam fatt* così! Le cuoche e i cuochi solidali di Lampedusa». Con tanto di foto.
Il Forum è composto da una ventina di persone che vivono in pianta stabile sull’isola ma è aperto a chiunque voglia farne parte, anche temporaneamente.
Tra loro ci sono operatori di onlus come Mediterranean Hope, Terra Onlus, il parroco di San Gerlando don Carmelo La Magra, parrocchiani, attivisti e semplici abitanti di Lampedusa.
«Il sistema ufficiale di accoglienza, chiamiamola così, rappresenta prevalentemente un modello securitario», ci raccontava qualche settimana fa Paola La Rosa, attivista che fa parte del Forum.
Dove per ‘securitario’ si intende che «l’unico interesse tutelato è la sicurezza nostra. Di noi bianchi, noi occidentali, noi ricchi… Sicurezza che secondo loro, potrebbe essere messa in pericolo dall’arrivo di persone in difficoltà e povere».
«Noi abbiamo deciso – dice Paola – di mettere in atto piccoli gesti di resistenza civile e disobbedienza al sistema, inserendoci al suo interno come un virus di umanità. Noi siamo qui, chi vuole può replicare il modello».
I volontari organizzano presidi, accolgono i nuovi arrivati, monitorano gli sbarchi, dormono sul sagrato della chiesa. E nelle altre città chi vuole lo replica, perchè l’umanità è contagiosa.
Durante tutto l’anno il Forum fa un tipo di accoglienza di cui nessuno parla e che sembra banale ma non lo è: quando i volontari vengono a sapere dell’arrivo di piccole imbarcazioni ‘clandestine’ dal Mediterraneo, corrono al molo Favarolo di Lampedusa e danno il benvenuto ai nuovi arrivati.
Un abbraccio, un sorriso, una coperta, dell’acqua. Dopo giorni di navigazione nel Mediterraneo, in condizioni precarissime, i migranti sono stremati, scioccati, spesso hanno perso i compagni di viaggio in mare.
Li chiamano ‘sbarchi minori’ questi sbarchi che non fanno troppo rumore e sono più defilati, ma non rappresentano affatto un’eccezione. Anzi.
«Sono una cosa di routine a Lampedusa». Una realtà che pochi vedono. I turisti possono non accorgersene neanche. Molti isolani non vedono. Nessuno sente. Non c’è clamore. Ma di fatto tutti sanno.
«Noi andiamo lì senza mascherine e senza guanti, che non ce n’è alcun bisogno, e quando sbarcano li abbracciamo uno ad uno, li avvolgiamo nelle coperte termiche e chiediamo a ciascuno di loro se ha bisogno di qualcosa».
Poi i nuovi arrivati vengono trasferiti all’hot spot dell’isola. Un luogo piuttosto nascosto, sul versante orientale. Affossato in una specie di conca, tra la terra brulla, quasi lunare, la roccia e le piante di timo. Una natura spettacolare. La chiamano la steppa.
Da lì teoricamente possono uscire, «perché non sono reclusi, non è mica un carcere!».
Ma di fatto è complicato. Dal centro escono usando un varco, un buco nella rete che è stato aperto anni fa.
«Li vediamo circolare qui in Paese alle volte, anche ieri sera sul sagrato della chiesa c’erano due ragazzi tunisini», dice Alberto Mallardo, operatore di Mediterranean Hope, progetto sulle migrazioni della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, in pianta stabile sull’isola dal 2014.
Del Forum fa parte anche don Carmelo La Magra, il parroco, che partecipa ai presidi sul sagrato e di fatto lì autorizza. E poi Rino, insegnante di yoga. Eleonora, studentessa universitaria, Anna, insegnante e volontaria della biblioteca per ragazzi e molti altri.
Rappresentano quella fetta dell’isola di Lampedusa (e dell’Italia) che ha deciso di non voltarsi dall’altra parte. Che non solo vuole tenere gli occhi ben aperti sulla realtà ma vuole essere ‘testimone’ diretto di tutto quanto accade. Ognuno di loro ha scelto di fare da ‘sentinella’ del sistema.
«Aver deciso, come Mediterranean Hope, di vivere costantemente sull’isola dal 2014, ci ha permesso di condividere con la popolazione locale un’esperienza a 360 gradi – racconta ancora Alberto, a Lampedusa dal 2014 – Condividiamo il periodo intenso della folla di turisti durante l’estate, ma pure il deserto invernale quando la popolazione si riduce a non più di 5mila abitanti».
Perché comunque vivere su quest’isola non è sempre facile, soprattutto d’inverno, quando i servizi scarseggiano. E il lavoro pure.
Se è vero che la missione di Mediterranean Hope è focalizzata sui fenomeni migratori, è anche vero che serve a tutelare i diritti di tutti, anche dei residenti. Assicurarsi che ci sia sempre un medico per i migranti significa pretendere che ci sia anche per gli isolani. I diritti sono condivisi perché «se non sono trasversali e non sono per tutti, allora sono dei privilegi, e noi non vogliamo che sia così», dice Alberto.
Inoltre, il monitoraggio continuo degli sbarchi sull’isola «dà una percezione chiara dei flussi di persone che arrivano, della loro nazionalità, di come sono evolute le traversate del Mediterraneo in questi anni», spiega. Il monitoraggio MH lo fa per lo più in maniera informale.
«Raccogliamo i dati in modo metodico ma la gran parte del lavoro è di testimonianza diretta: una volta che incontri un migrante a Lampedusa e parli con lui hai modo di capire tutto».
Nel 2015 sull’isola arrivarono 23mila persone. Nel 2016 erano scese a 13mila e cinquecento, nel 2017 a 9.500, nel 2018 erano ancora meno, calate a 3mila e 500, adesso sono appena 1500.
«Il dato drammatico però, è che ne arrivano molti meno oggi, ma in proporzione ne muoiono molti di più», dice Alberto.
Attraccare a Lampedusa, che è il primo porto sicuro, è quindi un’urgenza e non può essere un’opzione scartabile. Né tanto meno il braccio di ferro al ribasso dei leader europei può servire a giustificare l’omesso soccorso.
Le foto sono tratte dalla pagina facebook del Forum Lampedusa Solidale