A volte ritornano ma non sono incubi, anzi. Il vinile, il 33 giri, il long playing, il disco è tornato a girare sul piatto. Da quel 18 giugno 1948, quando la Columbia Records convocò una conferenza stampa all’hotel Waldorf Astoria di New York per presentare le prime 100 opere musicali della storia pubblicate come “33 giri”, o “album” sono passate diverse ere musicali, si sono avvicendate numerose tecnologie per la riproduzione musicale e migliaia di artisti. Ma ora, nell’epoca della “musica liquida”, la musica usa e getta, quella da ascoltare velocemente, superficialmente, quella che forse Alessandro Baricco definirebbe “barbara”, è tornata prepotentemente la richiesta di vinile.
Agli inizi degli anni ’90 la produzione su larga scala era praticamente cessata mentre ora, a distanza di 25 anni, sono quasi 8 milioni i dischi venduti nel 2014 nel solo mercato a stelle e strisce, con una crescita del ben 49 per cento rispetto allo scorso anno.
Nel Regno Unito, le statistiche fornite dalla British Phonographic Industry (BPI) rivelano il picco di vendite più alto dal lontano 1996, con oltre 1 milione di vinili distribuiti grazie ad un rinnovato interesse per alcune delle icone rock nazionali.
Le sole vendite degli album dei Pink Floyd e dei Led Zeppelin hanno rappresentato quest’anno oltre £20 milioni nei ricavi totali dell’intera industria discografica britannica, in notevole crescita rispetto ai £3 milioni incassati soli tre anni fa.
In Italia, nonostante la crisi economica che ha colpito profondamente qualsiasi settore economico, le vendite del vinile, rispetto al 2013, sono incrementate del 66%.
Ma il paradosso di questa impetuosa crescita è che l’industria del vinile si è fatta trovare impreparata. Nel nostro Paese attualmente esiste un solo impianto di produzione, negli Stati Uniti non più di quindici. Inoltre queste fabbriche devono affrontare il problema delle presse per produrre dischi in serie, che non vengono più fabbricate: l’espressione “incidere” un vinile infatti si riferisce al disco in metallo sul quale i suoni vengono incisi con un supporto magnetico, in positivo: questo disco poi serve da stampo per le forme grezze in vinile.
Le nuove fabbriche sono quindi costrette ad acquistare presse usate, assemblate per lo più negli anni Sessanta e Settanta: l’ultima è stata costruita nel 1982. E’ stato stimato infatti che progettarne e costruirne una nuova costerebbe circa 500 mila dollari mentre le usate costano solo 25.000 dollari; ma hanno il considerevole problema che, a causa della loro avanzata età anagrafica, tendono a guastarsi con una certa frequenza.
Keith Caulfield, associate director per le classifiche del sito Billboard.com, dichiara che “il vinile raggiunge due tipi di consumatori: quelli più anziani che lo ricordano con affetto e magari posseggono ancora un giradischi, e quelli più giovani a cui piace avere in mano una copia fisica del disco e ammirarne la copertina”.
Ma forse quello che raggiunge i consumatori è anche il desiderio di recuperare l’intera narrazione di un musicista. L’uso del cd – o peggio di un file musicale – ci ha purtroppo abituati ad un ascolto frettoloso e spesso random mentre, ascoltando un 33 giri, è improbabile che si vada in continuazione a saltare tracce o ci si impegni anche in altre attività e questo, ovviamente, contribuisce ad un ascolto attento ed assoluto dell’opera. Inoltre, in questo fermarsi e lasciarsi sommergere interamente dalla musica, c’ è forse anche un desiderio di recuperare un tempo più lento.
Sicuramente l’interesse per il vinile raggiunge anche gli amanti del collezionismo. Gli lp più richiesti sono quelli degli anni ’60: i Led Zeppelin e Bob Dylan sono particolarmente quotati ma chi fa la parte del leone sono gli originali dei Beatles e dei Rolling Stones. I prezzi vanno dai 20 a più di 20mila dollari, a seconda delle edizioni.
E chissà se poi, in questa irresistibile ascesa del 33 giri, abbia una sua considerevole importanza la messa laica che il fruitore di long playing ogni volta va ad officiare: con due dita prende accuratamente ed alza verso la luce la grande ostia nera di “Dark side of the moon” , la osserva con devozione nell’intento di rintracciare dei granelli di polvere o altro poi, con gesto sacrale, rimuove qualsiasi cosa ne abbia contaminato la purezza. Successivamente, con un movimento austero e lento, la posiziona nel piatto e riesce finalmente a raggiungere il trascendente nel momento esatto in cui posa, con infinita dolcezza, la puntina sul vinile e ne ascolta il suo indimenticabile fruscio.
Bentornato 33 giri.