(di Rinaldo Felli) – La domanda, il dubbio che si sono posti tutti coloro che hanno letto ed amato “L’amica geniale” della scrittrice Elena Ferrante è se la trasposizione televisiva del romanzo, in onda su Rai Uno in queste settimane (stasera la seconda parte), potesse restituire allo spettatore le stesse memorabile emozioni. Domanda e dubbio leciti, ma presumibilmente errati.
L’immagine cinematografica o televisiva come può riprodurre in modo appropriato ciò che la parola ha scatenato, evocato nell’immaginazione del lettore?

Ne trae spesso spunto, suggestione per farne una versione simile ma che inevitabilmente diviene un’opera diversa.
Ciò non esclude che nel farlo, come nella circostanza della serie TV diretta da Saverio Costanzo e co-prodotta tra gli altri da RAI ed HBO, si ottengano a volte risultati lusinghieri.
Che sia un lavoro di grande spessore lo si percepisce sin dall’inizio, da quella voce narrante (Alba Rohrwacher) che incolla le pagine del libro di Elena Ferrante, la cui identità rimane un mistero, all’immagine televisiva.
E l’uso della voce narrante ci restituisce echi antichi ed importanti, quelli degli sceneggiati televisivi che hanno contribuito all’istruzione ed alla crescita artistica del nostro paese: “Delitto e castigo”, “La Cittadella”, “Il Conte di Montecristo”, “L’Odissea”. E’ una restituzione necessaria nell’attuale contesto sociale e culturale dell’Italia e che entra con pieno diritto nell’elenco dei capolavori appena citati.
Che sia un’opera non comune nel panorama televisivo italiano ma anche internazionale lo s’intuisce dai soventi richiami alla cinematografia neorealista. Se la Ferrante, nell’uso del dialetto, nel riproporre il tema della questione meridionale, quello del disagio femminile, nel raccontare le storie di un rione povero, umile, dove il sangue è l’odore preminente, si può in qualche modo assimilare ai grandi del Verismo, così, per Saverio Costanzo, deve essere risultato imprescindibile, per raccontarlo in immagini, rivolgersi alla cinematografia di Visconti, De Sica, Rossellini.
A tal proposito è giusto anche annotare che clonare la famosissima scena di Anna Magnani, nella quale rincorre un camion nazista in “Roma città aperta“, forse risulta gratuita e scontata.
Gli oltre 7 milioni di spettatori (30% di share), che sono rimasti incollati ai televisori per seguire la scorsa settimana le prime due puntate, saranno probabilmente rimasti ammirati dall’interpretazione delle due prime protagoniste.
Ludovica Nasti, l’interprete di Lila bambina, l’amica geniale, la scura d’animo e di carnagione, ha lo sguardo selvaggio, animalesco, misterioso che caratterizza il personaggio creato dall’autrice. Addirittura c’è già chi l’ha paragonata ad una nuova Sofia Loren.
Elisa Del Genio è invece l’interprete di Lenù, la bambina brava, intelligente, timida, la chiara d’animo e di carnagione, in grado di svelare con ogni gesto quel tratto nobile e raffinato che la contraddistingue dalla sua amica rivale.

Ma è anche l’attentissima e perfetta ricostruzione storica a regalare un motivo in più per seguire “L’amica geniale”. Parliamo del più grande set europeo realizzato a Caserta nello spazio nell’ex fabbrica di Saint Gobain. E’ stato ricreato un intero rione di Napoli est, il Luzzatti, costruito in aperta campagna nell’immediato dopoguerra e dove è ambientato il testo.
Uno spazio che viene restituito all’occhio dello spettatore in modo probabilmente non molto dissimile da ciò che il lettore aveva immaginato. Un rione popoloso e popolare, costruito con edilizia povera, squadrato, triste, dove la violenza è in agguato dietro ogni angolo.
Napoli, la grande città, il sogno per quasi tutti gli abitanti del Luzzatti di una vita diversa e migliore è prossima, vicina ma neanche s’intravede nascosta com’è dalla ferrovia e posizionata dopo la campagna. Per raggiungerla Lila e Lenù, in un viaggio quasi iniziatico, troveranno il coraggio di attraversare il lungo tunnel buio che divide il rione dalla campagna e avventurarsi nel lungo cammino.
Non è esclusivamente la scenografia di Giancarlo Basili a restituirci quel tempo, gli anni ’50, ma anche i costumi di Antonella Cannarozzi, minuziosi, maniacali in ogni dettaglio o sfumatura che possa aiutare lo spettatore nella comprensione del personaggio, la fotografia cupa e polverosa di Fabio Cianchetti e, soprattutto, un cast di attori che sembra estratto da una foto d’epoca.
Ci piace ricordare in particolare la figura della maestra Oliviero, interpretata dalla bravissima Dora Romano.
Non avrà certo deluso nessuno degli oltre 10 milioni di lettori del romanzo che l’avranno immaginata con quella stazza imponente, il volto severo ma nello stesso tempo bonario, con quell’insieme di autorità e autorevolezza che era il carattere distintivo degli insegnanti dell’epoca.