(di Tiziana Caroselli) – Fino a qualche mese servivano tutt’al più per far asciugare al sole e al vento lenzuola e tovaglie troppo ingombranti per gli stenditoi casalinghi. Ora, da quando il micidiale e subdolo Covid19 ha devastato le nostre vite e la nostra quotidianità, le terrazze condominiali sono diventate il jolly da giocare per rendere più sopportabile la quarantena quando nell’appartamento in cui si abita non ci sono balconi ne’ balconcini in cui simulare un’uscita dalle quattro pareti domestiche.
Dapprima cautamente esplorate per prendere soltanto una boccata d’aria o fumare una sigaretta, via via,
con il passare dei giorni, queste logge comuni hanno cominciato a ospitare le più svariate attività.
Se si abita all’ultimo piano di un edificio basta affacciarsi alla finestra ogni tanto, soprattutto nel pomeriggio, e, senza neppure ricorrere al cannocchiale, ci si rende conto della rapida metamorfosi.
Certamente l’uso prevalente, dopo la chiusura di ville e parchi cittadini, è quello di palestra en plein air.
Alzando lo sguardo e facendolo scorrere sui tetti dei palazzi confinanti la vocazione sportiva balza agli occhi: quasi ogni giorno c’è qualcuno che salta a corda, alterna flessioni e squat o, munito del tappetino d’ordinanza, pratica lo yoga.
Capita pure di vedere chi, più audace di altri, si è caricato la bicicletta su per le scale e pedala, come un criceto nella ruota, lungo il perimetro a ridosso del parapetto.
Una implicita o esplicita ripartizione degli orari tra condomini consente di rispettare le distanze di sicurezza.
Stessa cautela che sembrano adottare le famiglie con bambini per i quali la terrazza condominiale diventa un surrogato del parco giochi.
All’ora della merenda, con plaid e cesta dei giochi, si sale su e si sta un po’ all’aria aperta improvvisando picnic tra le antenne.
Non manca – a questa osservazione empirica – chi si rifugia all’aperto per leggere un libro in santa pace quando la convivenza forzata con coniuge e figli non lascia evidentemente spazio in casa per farlo, o per videochattare con gli amici.
In un palazzo in fondo all’isolato uno dei condomini – racconta il tam tam di quartiere – ha lanciato agli altri inquilini la proposta di un aperitivo sulla terrazza condominiale, sempre nel rispetto del metro, meglio due, da tenere tra i presenti.
Un’occasione per stemperare ansie e preoccupazioni e fare due chiacchiere, finanche con quei vicini di pianerottolo con i quali, fino all’avvento del Coronavirus, magari non si è andati oltre al buongiorno e al buonasera.
Non è dato sapere quanti abbiano accolto l’invito, ma è facile immaginare che se l’iniziativa è andata in porto si sia tradotta in qualcosa a metà strada tra Rubabandiera e Quattro Cantoni: bottiglia nel mezzo, invitati ai bordi del terrazzo pronti a scattare con il bicchiere in mano, al momento giusto, per versarsi da bere e tornare nel proprio angolo senza pericolosi incontri ravvicinati.
Ora poi che la primavera sembra aver definitivamente spazzato via l’inverno c’è da scommettere che si organizzeranno turni per conquistarsi un posto al sole.
Magari dapprima ci si affaccerà timidamente in terrazza in pantaloncini e canottiera, ma non è escluso che, passati Pasqua, 25 aprile e Primo maggio, ahinoi, ancora in quarantena o quasi, se e quando il caldo esploderà il lastricato condominiale diventerà la spiaggia negata, con tanto di sedia a sdraio, bikini e cocktail con l’ombrellino.
Uno dei mantra che, a mo’ di conforto, si sentono ripetere in questi terribili giorni di isolamento coatto è
“apprezza ciò che hai, non pensare a quello che ti manca”.
In fondo è quello che sta facendo il popolo delle terrazze.
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