(di Margherita Vetrano) Quando abbiamo deciso di partire l’abbiamo fatto guardandoci negli occhi che ci brillavano, come se stessimo facendo una follia.
Il primo weekend al mare quest’anno aveva il sapore di una fuga.
Riempite le borse alla rinfusa con costumi, ciabattine e qualche t-shirt abbiamo avvisato i bambini.
“Partiamo sul serio? Ma si può?” ci hanno guardati sbigottiti e anche un po’ dubbiosi.
“Certo, il lockdown è finito” abbiamo risposto sorridenti, meno riflessivi di loro sul da farsi.

Non avevamo ferie ma appoggiandoci al weekend siamo partiti: destinazione mare!
Salire in auto tutti insieme è stato emozionante.
Dopo tre mesi ognuno di noi occupava il suo posto storico e ci si affidava all’auto che ci avrebbe portati al mare.
Superata l’incredulità iniziale i bambini si guardavano sorridenti, lanciando gridolini di gioia all’indirizzo della meta; non si andava ad un mare qualsiasi ma al mare dai nonni!
Ci riappropriavamo della nostra routine.
Ci predisponevamo a ripercorrere la strada che conosciamo a memoria per rivedere un pezzo di cuore che ci aspettava non a braccia aperte, lo sapevamo, ma era lì per noi.
Non ci sarebbero stati abbracci ma eravamo preparati.
Ancora non si può.
Durante il tragitto è stato difficile contenere i bambini che chiacchieravano eccitati alternando risate a grida di gioia.

Io guardavo fuori dal finestrino e vedevo di nuovo il verde delle montagne, il nastro grigio della strada e l’azzurro del cielo.
Mi sentivo nuovamente libera di poter attraversare i confini.
Man mano che i chilometri mi avvicinavano alla nostra meta mi sentivo più leggera, quasi fossi scivolata via da una coltre di pece che mi schiacciava in casa.
Il mio respiro tornava regolare, dopo averlo trattenuto per tanti giorni, mesi, nell’attesa di scoprire cosa ne sarebbe stato di noi.
Eravamo ancora noi che come ogni anno tornavamo al mare; stesso percorso, stessa destinazione, stessa casa.
Ma qualcosa in noi era cambiato e lo avvertivamo tutti.
Mi salivano le lacrime agli occhi mentre la mia mente ripercorreva i lunghi giorni di quarantena e di reclusione.
Mi sentivo “scarcerata” e solo in quel momento, in quel preciso momento in cui ho deciso di partire ho capito quanta libertà ci fosse stata negata.
Non solo quella dettata dalle regole da rispettare ma quella mentale di poter pensare che un giorno sarei tornata a vivere come un tempo.
In maniera un po’ differente forse, ma con gli stessi punti fermi e gli stessi affetti.
Ogni emozione era amplificata ora, come la luce del pomeriggio che brillava sulla lamiera dell’auto che ci aveva quasi portati a destinazione.
L’emozione saliva in me come un nodo allo stomaco che mi faceva male ma mi trasportava ad una altro livello di consapevolezza.
Ero viva e l’aria fresca che entrava dal finestrino me lo ricordava ad ogni ricciolo scomposto.
Eravamo vivi, ce l’avevamo fatta.
Il nostro bagaglio era più ricco del solito: mascherine e gel igienizzanti a profusione ma che diamine, avevamo varcato il perimetro della città e ci stavamo riprendendo un pezzo di vita!

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