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Il Centro interculturale “Ohana” a Roma: “mai negare un abbraccio ai bambini”

di Patrizia Caiffa
7 Dicembre 2020
in Buenvivir, Primo Piano
Tempo di Lettura: 5 mins read
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di Patrizia Caiffa – Il Centro diurno “Ohana”, per bambini da 0 a 5 anni della Caritas di Roma, è un punto d’appoggio temporaneo e completamente gratuito per le famiglie più in difficoltà, senza un lavoro o una casa, a volte senza un permesso di soggiorno. Senza la possibilità di accedere agli asili comunali.

“Ohana” in hawayano significa “famiglia”, è un luogo in cui nessuno viene abbandonato: né i bambini, né i loro genitori.

Un luogo in cui gli abbracci, anche in tempo di Covid-19, non vengono negati ai più piccoli, ma dati con le dovute cautele, con mascherine e visiere.

Qui la misurazione della temperatura, il lavaggio delle mani e il distanziamento sociale diventano un gioco. Le bambole di pezza e i peluche sono sostituiti con giocattoli monouso o facilmente disinfettabili. Perché la creatività, in momenti come questo, è di importanza vitale per mantenersi resilienti.

La sede è nella domus della parrocchia Santa Maria Causa Nostrae Letitia, in un territorio romano di periferia, a Villaggio Breda, tra Torre Gaia e Tor Bella Monaca, quartieri con vaste situazioni di disagio sociale.

Avviato in via sperimentale agli inizi del 2019, tre volte a settimana, ora il centro “Ohana” apre le porte ai bambini di tutte le nazionalità cinque giorni su sette, dalle 8.30 alle 12.30.

Le restrizioni imposte dalla pandemia hanno costretto gli operatori ad accogliere meno bambini – un massimo di 10 – con una lista di attesa che si è allungata ancora di più a causa delle conseguenze sociali del lockdown. Oggi  ci sono bimbi da Togo, Romania, Albania, Algeria e Italia.

La particolarità del centro è data proprio dal fornire un sostegno a 360 gradi: ai bambini e alle rispettive famiglie.

“Non vogliamo sostituirci completamente agli asili comunali per i tre anni di percorso”, spiega a B-hop Giusy Reale, educatrice del Centro Ohana.

“Siamo un punto di appoggio momentaneo per aiutare le famiglie a risollevarsi per poi lasciare posto ad altri che hanno più bisogno”.

Oltre alla funzione educativa con i bambini, gli operatori e i volontari assistono i genitori con cibo, vestiario, li aiutano nella ricerca di un lavoro, li indirizzano verso corsi di lingua italiana o di formazione.

“Persone che erano già in difficoltà prima del Covid ora vedono la loro situazione peggiorata – racconta l’educatrice -. Avevano iniziato a fare i primi passi verso l’autonomia, invece si ritrovano bloccati senza occupazione”.

Tre famiglie, ad esempio, sono accolte nel “Villaggio ospitalità” della parrocchia Santa Maria Madre dell’Ospitalità perché totalmente prive di mezzi di sussistenza. Altre hanno lavoretti precari, pagano affitti in nero o non hanno ancora i requisiti – come il permesso di soggiorno in scadenza – per avere accesso ai nidi comunali.

A soli due anni dalla nascita – è l’ultima iniziativa della Caritas di Roma per l’infanzia, l’altra è l’asilo nido interculturale “Piccolo mondo”  – il bilancio del Centro Ohana è già positivo.

“Siamo partiti da zero in un territorio che non ci conosceva e abbiamo creato una rete con le parrocchie e i servizi sociali, che indirizzano a noi le famiglie più bisognose. Tante sono riuscite a creare una stabilità e a riprendere in mano la propria vita”, precisa l’educatrice.

Come i genitori di Paul  (è un nome di fantasia): congolesi, disoccupati, con problemi burocratici per la residenza. Grazie all’aiuto degli operatori lui ora lavora come badante, lei è incinta e frequenta un corso di formazione. Finalmente sono riusciti ad inserire la figlia al nido comunale.

Intanto le giornate nel centro proseguono serenamente, cercando di non far pesare troppo ai bambini le varie restrizioni sanitarie.

“Facciamo giochi all’aperto, li invitiamo a pitturare con le mani e con i piedi per non usare i pennelli – dice -. Per fortuna le attività per i bambini sono infinite, basta saper scegliere quelle giuste per far vivere al meglio questo periodo”.

I bimbi  al di sotto dei 6 anni non sono obbligati ad indossare la mascherina ma gli operatori sì, insieme alle visiere.

Ci si chiede se avranno dei traumi o delle conseguenze dai nuovi comportamenti che sono costretti a subire:

“Sicuramente dal punto di vista psicologico questo li segnerà – risponde l’educatrice -. All’inizio sono rimasta scioccata perché i bambini avevano timore di abbracciarci. E’ fondamentale spiegare loro, in parole semplici, quello che sta accadendo, perché i bambini capiscono tutto e sono intelligenti”.

“Da parte nostra ci facciamo sentire vicini seppur distanziati. Ma privarli di un abbraccio sarebbe disumano”.

***

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Patrizia Caiffa

Patrizia Caiffa

Ideatrice e direttrice responsabile di B-hop magazine. Giornalista professionista, lavoro dal '98 all'agenzia Sir. Laureata in Lingue e letterature straniere moderne, ho scritto romanzi, testi teatrali e saggi e viaggiato (tanto) nel Sud del mondo. Instancabilmente curiosa di nuove avventure, dentro e fuori di me, ho voluto B-hop per portare bellezza, fiducia e consapevolezza nel mondo dell'informazione.

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