La Grecia è ancora una volta sospesa in un’Europa che non c’è. Nonostante l’accordo raggiunto ieri dal governo greco con i creditori internazionali, dopo 17 ore di summit offuscate dalle minacciate di Grexit, la situazione finanziaria ellenica rimane molto complicata.
Ora la palla è nelle mani del Parlamento greco e dei Paesi dell’area dell’euro che dovranno decidere se approvare o meno l’accordo i cui termini (da poco pubblicati in un PDF ufficiale) sono sistematizzati in un calendario preciso concordato con i leader dell’eurozona. Entro il 15 luglio la Grecia infatti dovrà provvedere a un aumento generalizzato delle tasse, che andrà di pari passo con i tagli alla spesa pubblica, insieme alla modifica dell’IVA e del sistema pensionistico. Per il 22 luglio è invece prevista la seconda scadenza “bollente”, breve periodo entro cui la nazione greca è chiamata a realizzare la riforma del Codice civile per ridurre i costi della giustizia accelerando i processi, e a gestire i piani di aiuti per le banche con l’aiuto della Commissione europea.
Il raggiungimento dell’accordo è stato salutato da alcuni come una occasione per rimettere in discussione i dogmi dell’austerity. E della stessa, attuale, realtà europea. L’Europa è infatti sempre più divisa in particolarismi nazionali, frammentata in un arcipelago incoerente di Stati ostili che alzano barriere per sventare minacce migratorie. Muri statali funzionali che allontanano dalle coscienze, dall’intelligenza e dal cuore dei singoli cittadini, drammi molto forti, incredibilmente vicini: dalla crisi greca, alle guerre intestine in Ucraina, alla Libia destabilizzata, al Levante in fiamme.
Ormai l’Europa figlia degli ideali degli anni Cinquanta è in pericolo di vita, e sul suo corpo malato volteggiano gli avvoltoi del populismo transpartitico, di destra e sinistra: da Salvini a Le Pen che lucrano sulla crisi europea, catalizzando la rabbia giustificata di molti, per tirare acqua al proprio mulino, ingrandendo le schiere di un elettorato che urla e non parla. Se l’Europa è arrivata a questo punto, vuol dire che qualcosa nello spirito fondante l’idea stessa europea non funziona più: negarlo permetterebbe al problema di incancrenirsi, diventando cronico. Da questo punto di vista la crisi greca è un chiaro sintomo della malattia del Vecchio Continente, e la Grecia ha svolto il ruolo del bambino che urla in mezzo alla folla “il re è nudo!” nella fiaba I vestiti nuovi dell’imperatori di Andersen.
L’Europa è nuda, non funziona, è malata. Bisogna curarla a partire dalla ferita greca, evitando una setticemia collettiva.