E Pietro giunse ad Auschwitz per non dimenticare. Non è mai facile parlare dei grandi drammi della Storia dell’umanità. Ancora di più è difficile approcciarsi scevri da ideologismi e valutazioni emozionali al dramma della Shoah ed in generale al mostruoso progetto di sterminio a 360° perpetrato dal nazismo con la collaborazione fattiva dei fascismi europei ed i silenzi degli eserciti alleati. Dal 18 al 20 gennaio un centinaio di studenti delle scuole superiori romane ha compiuto un “Viaggio della memoria” che li ha portati a Cracovia e nei lager gemelli di Auschwitz-Birkenau, per poi chiudere l’esperienza al ghetto di Roma una volta tornati. C’erano anche autorità, ma sinceramente non è quello che ci interessa. Ci interessa la “Storia delle storie” che ci ha raccontato Pietro, diciottenne che studia cinema e fotografia, e che ha partecipato al “Viaggio della Memoria”. Nella Giornata della Memoria, b-hop si affida ad un giovane per non smettere mai di dimenticare.
Che cosa ha voluto dire passare sotto l’arco con la scritta “Arbeit macht frei” di Auschwitz?
All’inizio quando siamo arrivati là con la scuola e tutti i ragazzi neanche ce ne siamo resi conto, poi una volta giunta la nostra guida, ci ha detto “ragazzi guardate lì in alto”. Noi cercavamo di capire dove ci trovavamo, praticamente abbiamo visto quella scritta che tutti conosciamo, ed io ho provato un misto di ansia e molta pena. La cosa che mi è dispiaciuto di più è vedere persone che erano con me farsi i selfie sotto la scritta. Ma non immortalandola come se fosse una cosa della quale si ha rispetto ma più che altro per dire “figo, sono qui”. Sarà questa la cosa che mi ha colpito più di tutte: vedere dei ragazzi che a quanto pare non comprendevano dove si trovavano. Io ho visto molto di più questo aspetto che della scritta in quanto tale. Perché alla fine quella scritta simboleggia tante cose che noi conosciamo. Ma la cosa che dobbiamo comprendere è questa: quella scritta è quello che è, ma noi come la vediamo? Perché alla fine è tutto là.

Tu sei andato con una iniziativa importante, anche solenne. Avete incontrato dei testimoni: cosa vi hanno detto e soprattutto cosa ti sei portato via dall’incontro?
Abbiamo incontrato 4 sopravvissuti di Auschwitz e Birkenau, due sorelle, e due uomini che erano ragazzi al tempo. La scoperta è stata vedere la forza con la quale loro sono andati avanti. I loro occhi, le loro voci, il modo di parlarci di ciò che avevano passato e subito lì dentro ha colpito tutti. A me ha colpito la forza che avevano dentro, che dimostravano di avere nonostante l’età, la loro energia, la loro volontà di raccontare ai giovani quello che avevano subito, come era diventata la loro vita. Loro ci raccontavano dei forni in lontananza che i tedeschi distrussero, e noi, anche grazie a loro abbiamo compreso ciò che hanno visto quando sono arrivati ai campi. Noi dobbiamo fare tesoro dei loro racconti perché starà a noi, un giorno, quando non ci saranno più, raccontare ciò che è successo.
Cosa vuol dire allora “memoria”?
La memoria può esser scritta, messa su un pezzo di carta o tramandata oralmente. Ora, la memoria è storia, e la storia son racconti di persone che hanno messo insieme le loro esperienze, ciò che hanno vissuto, e cercato i punti di contatto. Questa è la Storia: la memoria sta dentro di noi, sta a noi ricordare ciò che è successo, non agli altri, sta a noi ricordare perché noi dobbiamo essere i primi a mandare avanti questa “memoria” di memorie, i racconti dei quattro signori di Auschwitz, ed anche le storie della guida che ci raccontava dei suoi bisnonni che erano stati uccisi a Birkenau, e lei sapeva anche in quale baracca erano stati prigionieri. La memoria è ciò che noi ci portiamo dentro, però dobbiamo farla fruttare per raccontarla a nostra volta, come i sopravvissuti.
E se dovessi oggi raccontare cosa è Pietro dopo il viaggio a Birkenau e Auschwitz….
Tutti dicono, tornando da un viaggio simile: “io mi sento cambiato dentro, adesso ho una nuova forza”. Certo la cosa che mi avrebbe colpito di più, ma che non ho visto, sono stati i capelli raccolti ad Auschwitz. Io però sono tornato consapevole, non cambiato. Io le mie idee sulla Shoah già le avevo, ho avuto delle conferme ed anche ho visto coi miei occhi e sentito in prima persona, finalmente. Un conto è leggere, vedere serie televisive che raccontano la Shoah, documentari, un conto è stare lì sentendo persone che le hanno vissute in prima persona e te le raccontano. E tu non puoi far altro che ascoltare. C’è stato chi si è commosso, io tendo a prendere tutti i racconti per analizzarli e farmi la mia idea, tornare a casa con una idea completa di tutto ciò che è stato. Sono tornato con la consapevolezza di ciò che è stata la Shoah. Che non solo è “dove so’ morti li ebrei”. C’è tanta ignoranza intorno a questa Storia, e c’è chi non si rende conto di ciò che è stato. E di quello che ancora simboleggia. La consapevolezza deve andare sino in fondo per farne tesoro e non commettere gli stessi orrori. Bisogna anche valutare attentamente per ricordare. Già quello è tanto per continuare a raccontare, ed è un grande omaggio a chi è morto e a chi morirà, dopo aver portato dentro di sé quelle storie atroci che gli hanno cambiato la vita per sempre. Bisogna fare una cosa semplice: tornare a casa, continuare a vivere, ricordare e tramandare perché non si dimentichi, e si possa esser pronti nel caso, nei corsi e ricorsi della Storia, un giorno l’uomo voglia ricreare qualcosa come la Shoah.