“Facebook ti aiuta a connetterti e a rimanere in contatto con le persone della tua vita”. Questo è il motto riportato nella home page del sito, capace di riassumere in una frase l’utilità della piattaforma che da utenti ci accingiamo a utilizzare. Connettersi e restare in contatto con le persone della nostra vita appare un servizio di indubbia utilità, inoltre Facebook è rapido, di semplice utilizzo, efficace, multimediale, in tutto e per tutto migliore di qualsiasi altro media tradizionale – compreso il così detto internet 1.0.
Grazie a queste sue peculiarità, Facebook si è imposto in tutto il mondo come mezzo di comunicazione principe di internet, il preferito da milioni di persone. Con più di 500 milioni di utenti attivi, se Facebook fosse una nazione, sarebbe la più popolosa del mondo dopo Cina e India. 500 milioni di utenti interconnessi e che si relazionano tra loro condividendo contenuti di ogni tipo. Letti con lo sguardo dell’ottimismo, questi dati mostrano una realtà di fatto che si traduce in una infinita risorsa per lo scambio di informazioni e per chi le informazioni le produce.
Editori, giornali, riviste, televisioni, artisti di ogni genere: nessuno può ignorare una tale risorsa, soprattutto a fronte di una profonda crisi editoriale che mina la produzione culturale ogni giorno di più. Questo rendersi una risorsa imprescindibile ha portato Facebook a diventare il principale strumento dove inserire e reperire contenuti e informazioni al mondo, una enorme enciclopedia di informazione, arte e cultura aggiornata in tempo reale, internazionale e interculturale. Una immensa risorsa, capace di migliorare la vita e il bagaglio culturale di ogni utente.
La realtà dei fatti, però, si scontra con un profondo lato oscuro. Una tale portata di informazioni e utenza legata a un centro di controllo unico e centralizzato, quello di una corporazione privata, rappresenta un potere inimmaginabile. Si tratta del potere di decidere deliberatamente di rendere fruibili o meno determinati contenuti e in che misura (non serve neppure interpellare la censura, è sufficiente un algoritmo); è il potere di vendere le informazioni personali e i contenuti condivisi dai propri utenti, il potere di annientare ogni privacy con il beneplacito di chi tali informazioni le cede per entrare a far parte di questo sistema di comunicazione globale sempre più imprescindibile, e non essere tagliati fuori, non solo dal mondo dell’informazione, ma anche da un sempre più imponente settore della vita sociale e affettiva di ciascuno, perché Facebook – fin dal principio – non si propone come mass media ma come “sistema per rimanere in contatto con le persone della tua vita”.
Do-ut-des: cedo a te il controllo totale sulla mia privacy, su ciò che intendo comunicare e condividere con amici, parenti e conoscenti, su ciò che intendo fruire, sui miei gusti e le mie inclinazioni politiche, religiose e sessuali, in cambio entro a far parte del più grande network del mondo. In assenza di una seria legge internazionale capace di regolare un potere così immenso, capace, potenzialmente, di prevaricazioni antidemocratiche di proporzioni totalitarie, Facebook continua a decidere “cosa” più di 500 milioni di persone possano o non possano visionare ogni giorno, obbligando (di fatto) tutti i produttori di contenuti a partecipare al “gioco”.
Il problema più grande, però, non riguarda il potere immenso di lontane e pressoché anonime corporazioni, quanto piuttosto ciascuno di noi. Si tratta della qualità dei contenuti condivisi. La maggioranza degli utenti di Facebook condivide esclusivamente contenuti mediocri e banali, il che non significa frivoli o “leggeri” – poiché c’è qualità anche nella leggerezza – significa semplicemente stupidi, inutili e dannosi.
Questa preferenza accordata dagli utenti porta i produttori di contenuti (l’industria culturale stessa) a proporre, con sempre maggiore frequenza, argomenti mediocri e banali in modo da rendere il più proficua possibile la loro presenza su Facebook, spesso pagata profumatamente per poter rientrare nel meccanismo della sponsorizzazione e non vedere i propri contenuti svanire dalle home page dei propri utenti a causa del logaritmo su cui si basa la condivisione sul social network.
Questo circolo vizioso trasforma ogni giorno la più grande rete informativa del mondo in un giornale di gossip di serie z.
Non possiamo, forse, combattere lo strapotere di una corporazione tanto potente e lontana ma possiamo, concretamente e nel nostro piccolo, orientarne i contenuti. Possiamo diventare utenti consapevoli, veicolo di cultura e qualità, anche di leggerezza e intrattenimento, impedendoci di degradare noi stessi con l’idiozia ed evitando di contaminare il prossimo con la mediocrità. Per farlo è sufficiente ignorare la stupidità, non degnandola del nostro “click”.