Oggi, 5 maggio 2016, in tutta Italia si celebra la prima “Giornata nazionale della carne italiana“. Brandendo l’hashtag #bracioleallariscossa, “per la prima volta scendono in piazza le ragioni del 90% degli italiani che consumano carne nonostante gli allarmismi infondati, le provocazioni e le campagne diffamatorie su un alimento determinante per la salute che fa parte a pieno titolo della dieta mediterranea, alla quale apporta l’indispensabile contributo proteico”.
Si tratta, afferma Coldiretti, di “una operazione verità sulla carne italiana ed i suoi primati qualitativi e di sostenibilità ambientale ma anche una occasione per aiutare con equilibrio e buonsenso a fare scelte di acquisto consapevoli e non cadere in pericolose mode estreme”. Un dossier, “Braciole alla riscossa”, parlerà della diversità della carne italiana e dei rischi della scomparsa degli allevamenti con gli effetti per l’economia, il lavoro e l’ambiente ma anche sul pesante impatto dell’allarmismo sui consumi e sull’atteggiamento degli italiani rispetto alla carne”.

Bisogna ammetterlo: questa iniziativa è, in fondo, una buonissima notizia. Ci dice che le scelte che possiamo fare, come consumatori, riescono a fare davvero la differenza, sono in grado di condizionare il mercato e farlo cambiare. Infatti, quando mai si è sentito il bisogno di indire una “Giornata nazionale della carne” (ovvero a protezione della stessa)? Non è un caso che succeda ora, non solo per il fatto che l’8% degli italiani è diventato vegetariano o vegano, in un trend che si dimostra in crescita, ma anche perchè – come riportato dal Rapporto Eurobarometro, i consumatori tengono al benessere degli animali in allevamento.
In altri termini, a prescindere dalle scelte alimentari si sta diffondendo una nuova cultura e consapevolezza, meno antropocentrica e più ecocentrica, in cui prevale il rispetto per ogni forma vivente, per la Terra e i suoi doni, che non sono visti solo più in un’ottica funzionale rispetto all’uomo ma con dignità e senso a sé stanti.

Per sostenere la “Giornata della carne”, poi, tra le altre cose si afferma:
* che “la carne è un alimento determinante per la salute“: VERO (nel senso che un consumo costante NON è esattamente il massimo se – come affermano gli studi scientifici – si vogliono evitare malattie come il tumore) ma FALSO che il “suo contributo proteico sia indispensabile” in una dieta, né per gli adulti né – con le dovute attenzioni – per i bambini (lo dice l’ADA – American Dietetic Association);
* i “primati qualitativi italiani e di sostenibilità ambientale“: naturalmente è un’affermazione “forte” e bisogna vedere a cosa ci si riferisce; la dott.ssa Luciana Baroni, in un’intervista, ha spiegato perchè gli allevamenti intensivi sono sempre incompatibili con la salubrità delle carni; sulla loro sostenibilità per gli animali, basta dare un’occhiata al video di Essere Animali pubblicato da “Il Fatto quotidiano” per rendersi conto della realtà drammatica delle loro vite: gli allevamenti sostenibili in Italia sono rari. Rari. E a proposito dell’impatto ambientale, le conseguenze (ben raccontate dal film Cowspiracy) – in una lettura complessiva – sono devastanti;

* “i rischi della scomparsa degli allevamenti: effetti per l’economia, l’ambiente e il lavoro“: naturalmente è VERO. I cambiamenti richiedono anche questo: ristrutturazioni nella struttura produttiva, economica. Ma NON è un problema, piuttosto un’opportunità per andare verso una economia più etica, rispettosa e sostenibile per tutti. Non sono pochi gli esempi di chi ha già detto basta e cambiato stile di vita, come Fabrizio Bonetto in Piemonte o Bob Comis, che si è “arreso” davanti al dolore dell'”ultimo maiale“.

In termini concreti, gli allevamenti dunque possono cambiare; ognuno di noi – anche se non vuole avviarsi sulla strada dell’alimentazione vegetariana o vegana – può scegliere di diminuire il suo consumo di carne (a proposito, è evidente: non c’è spazio sufficiente per far mangiare carne ogni giorno a 60 milioni di persone e allo stesso tempo far stare bene gli animali) e di rendere più consapevoli i propri acquisti (scegliendo prodotti a km 0 di qualità e/o bio ed etici e solidali; rivolgendosi a macellai che – come il romano Roberto Liberati – vendono solo carne di animali almeno vissuti bene, liberi e felici).
La cultura carnista per potersi affermare ha “spersonalizzato” gli animali facendoli a pezzi (cosa vogliamo dire dell’hashtag #bracioleallariscossa?) e rendendoli “cose” (la coscia, la fettina) senza alcun collegamento con l’animale intero (essere senziente, dotato di emozioni, intelligenza, capacità di amare e soffrire, spesso con attaccamento e relazioni simili a quelli della nostra specie nonchè identica voglia di vivere); ovvio che ora non sia così d’accordo che si vadano a toccare i suoi equilibri e i suoi interessi. Per questo protesta, disperata, allertando braciole senza vita.

Al contrario, chiunque di noi si impegni nel suo quotidiano in qualunque dei modi sopra detti ma anche solo cominciando a riflettere, a conoscere, a comprendere – uscendo così dalla propria zona di comfort, data dalle abitudini – per fare scelte di acquisto e alimentari diverse, più consapevoli (fosse pure solo una riduzione del consumo di carne) o per dare una nuova svolta alla sua attività commerciale, al suo lavoro, porta il suo contributo di amore, rispetto, attenzione ed etica: in altre parole, aggiunge nuovi aneliti di vita e compassione nel mondo, mette la sua parte di mattoni perchè il futuro sia migliore per tutti.
Un passo alla volta si può.
E alla fine… stai a vedere che un giorno il 5 maggio resterà, sì, la “Giornata nazionale della carne” ma (magari con un altro nome) alla memoria, per ricordare e onorare e ringraziare, con rispetto, il sacrificio (e una vita di sofferenza e maltrattamenti negli allevamenti) di tutti gli animali che si sono fatti cibo per noi.