Un alimento antichissimo con un grande futuro. Il “grano degli dei”, così gli Aztechi chiamavano i semi dell’amaranto che coltivavano quanto il mais, anche se la sua coltura precede la loro civiltà di almeno 4.000 anni. Le sue qualità nutritive erano talmente apprezzate da utilizzarlo come tributo annuo al sovrano, come alimento per i guerrieri e come offerta agli dei. In dialetto andino si dice “Kiwicha“, che in italiano vuol dire: “sogno che non svanisce”, era la pianta usata nella cultura Maya come simbolo di immortalità.
La scienza moderna ha confermato le sue eccellenti caratteristiche nutrizionali, che ne fanno un alimento completo, tanto da paragonarlo al latte materno. I semi, con un profilo aminoacidico quasi ideale, non contengono proteine del glutine, rendendoli quindi adatti ai celiaci. Il contenuto in calcio e ferro è superiore a quello dei cereali, come pure il suo spettro vitaminico. I numerosi microelementi che contiene sono inoltre considerati efficaci nella riduzione del colesterolo “cattivo”, e nel contrasto delle malattie cardiovascolari, cancro e diabete.
Un vero alimento che nutre, e in più fa bene alla salute. Il genere Amaranthus (dal greco “che non svanisce”, riferito alla persistenza del colore dei fiori) comprende una settantina di specie erbacee per lo più annuali, molto rustiche, tolleranti alla scarsità d’acqua e alla forte insolazione, grazie a una modalità più efficiente di fissazione del carbonio (ciclo C4). L’areale distributivo, molto ampio, è compreso tra 0 a 3.300 mslm. È inoltre una delle poche piante di cui si possono consumare sia le foglie che i semi. Rappresenta infine una eccellente pianta foraggiera.
Le sue virtù che ne fanno una pianta medicinale popolare, possono essere valorizzate a livello di sistema sanitario di base, per integrare le razioni alimentari nella medicina domestica e nei centri di salute popolari. L’industria alimentare e l’industria chimica hanno messo a punto sistemi di trasformazione e raffinazione dei composti presenti nella kiwicha che commercializzano nei mercati più esigenti.
La raccolta è manuale e l’essiccazione avviene al sole. Adesso si può anche contare su attrezzature semplici per mezzo di flussi di aria. Il valore nutritivo della kiwicha è estremamente importante. I semi minuti di questo pseudo-cereale contribuiscono a contenere le deficienze proteiche e i microelementi delle popolazioni native delle Ande. I semi possono essere tostati, scoppiati o laminati. È impiegata per la preparazione di zuppe, cereali da colazione (flakes), pane, dolci, bevande calde e insalate. Le foglie sono consumate come verdure bollite. Sono stati inoltre rilevati benefici nelle persone che se ne nutrono e soffrono di artrite, diabete, gotta e reumatismi, oltre che durante la gravidanza. La cottura è più rapida di quella della maggiore parte dei cereali e l’assenza di glutine ne fa un alimento ottimale per le persone che soffrono di celiachia.
La farina integrale può essere mescolata con quella del grano e del mais nella preparazione degli alimenti tradizionali e costituisce un cibo altamente nutritivo idoneo all’alimentazione materno infantile.
L’attività realizzata con il progetto “Amaranto” dal Cipsi, coordinamento di ong di solidarietà internazionale, con contributo del MAE e della Fondazione Cariplo, a favore delle popolazioni disagiate della Provincia di Salta nell’Argentina nord-occidentale, è stata selezionata come “buona pratica” tra le 18 vincitrici del concorso internazionale Feeding Knowledge–buone pratiche sostenibili per la sicurezza alimentare. L’attività ha realizzato l’obiettivo di lottare contro la povertà e migliorare la dieta alimentare di 1.780 famiglie rurali che vivevano sotto la soglia della povertà, rafforzando la loro struttura socio-comunitaria attraverso l’ottimizzazione dei sistemi produttivi e di commercializzazione della cultura “kiwicha”.
Per la facilità di autoproduzione nell’orto di casa, il notevole miglioramento della dieta familiare e i potenziali sbocchi commerciali, questa iniziativa rappresenta un modello di lotta alla fame e alla povertà, che potrebbe essere replicato in altre parti del mondo con analoghe criticità. L’invito è quello di assaggiare l’amaranto anche nella nostra cucina italiana!