Una giovane, appena diciottenne, muore di leucemia linfoblastica acuta. I genitori hanno scelto un certo tipo di cura, non ufficiale; lei era d’accordo, assolutamente, tanto più che un anno prima aveva visto morire una sua amica: leucemia, curata con chemioterapia. E’ la storia, conclusasi pochi giorni fa, di Eleonora Bottaro.

Che la cura non abbia funzionato o che fosse giunto il suo tempo (perchè è pure da considerare che questa vita sia “solo” un passaggio tra un’andata e un ritorno ad un’altra Vita, almeno per chi come me crede) nessuno potrà saperlo veramente. Non di sicuro i medici, che hanno affermato che quella leucemia è curabile nell’80% dei casi con chemioterapia: i dati statistici raccontano una rappresentazione di realtà; così come la mappa non è il territorio, anche nella malattia la verità è quella che ti tocca sulla pelle, è soggettiva, individuale. E tu puoi rientrare anche nel 20%.
E’ per questo che – bisogna ricordarlo – di chemioterapia si guarisce ma anche si può morire; si guarisce o si muore di altre terapie “alternative” proposte da medici e ricercatori coscienziosi; così come si può morire o guarire non utilizzando la chemioterapia ma lavorando consapevolmente con altre tecniche sul “messaggio” simbolico, energetico, spirituale veicolato dalla malattia. Perchè questa è la realtà, scomoda e fuori del controllo delle lobby che governano le scelte della Sanità.
La nostra Costituzione, giusto per ricordarlo, all’art 32 recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana“.
Belle parole ma poi, quando si scende nel concreto come nel caso di Eleonora, quando le persone – normalmente con un buon livello culturale e sociale, che dunque hanno accesso consapevole ad informazioni aggiuntive – fanno scelte mediche che rispettano i loro valori, le loro conoscenze, i diversi paradigmi a cui fanno riferimento allora no: non va affatto bene.
Chi può osare mettere in dubbio le scelte e le indicazioni ufficiali? Nessuno.
E allora se per sfortuna capitano tra le mani i dati che sottolineano gli effetti negativi delle “proprie” cure, quelle informazioni vengono opportunamente ridimensionate; cala il silenzio su chi è guarito grazie a strade alternative e si accendono i megafoni su chi non ce l’ha fatta: i primi e i secondi vengono poi ridotti, annullati, derisi, definiti cialtroni e millantatori, praticamente assassini e ignoranti o quanto meno “infigati” di bias e pseudoscienze. E naturalmente vengono denunciati, come i genitori di Eleonora.
La domanda che dovrebbe sorgere spontanea è: perchè i medici, che denunciano un genitore che sceglie per suo figlio una terapia differente da quella da loro ritenuta più idonea, non si prendono la responsabilità in caso di fallimento della terapia?
Perchè io genitore non posso denunciare chi mi vuole costringere a somministrare a mio figlio una cura in cui io non credo, che non rientra nei miei valori, nella mia visione della vita; perchè un estraneo, solo perchè medico, può denunciare me che mi sono informato e ho fatto una scelta diversa ma consapevole pure dei rischi, e supportata in ogni caso da altri medici?
Quello che in questi giorni è sotto i nostri occhi – ai danni dei genitori di Eleonora – è proprio un’aggressione, un attacco al nucleo centrale del concetto di libertà di cura. E perciò riguarda anche ognuno di noi.
Poco importa che ci siano studi scientifici, medici, ricercatori non allineati e indipendenti che – secondo scienza e coscienza – studiano, cercano, scoprono e attestano possibilità terapeutiche differenti; poco importa di tutto questo alla comunità scientifica ufficiale: la formazione comune all’improvviso non vale più nulla; gli altri colleghi diventano incompetenti, fuori di testa, imbroglioni pseudoscientifici.
L’aggressione è così forte forse perchè – per la prima volta e non solo teoricamente – siamo davvero davanti alla possibilità di scelta di cura; non abbiamo più solo il tradizionale paradigma allopatico della Big Pharma come riferimento: possiamo contare anche su quello olistico-complementare e quello che si muove tra i due modelli.
Ci sono oramai tanti medici non allineati ai diktat protocollari, curiosi e motivati a cercare strade nuove e più efficaci, senza o con minor effetti collaterali (dentro parametri nuovi, insieme o no alle medicine complementari), che provano e verificano sul campo: insomma c’è un movimento di pensiero, di ricerca e culturale sostenuto da una fetta sempre più importante di popolazione con un livello culturale medio-alto, buona capacità reddituale, che partecipa per la prima volta attivamente e con attenzione alle scelte, che si informa, indaga, non dà per scontato. Motivato da una voglia di bene autentico.

Per molti e sempre di più, due sono le consapevolezze: da un punto di vista spirituale, che qualunque sia l’approccio terapeutico che si sceglie, e va ovviamente individuato in modo non superficiale, il risultato finale dipende da quello che la persona interessata deve sperimentare e vivere (anche, eventualmente, nel morire); da un punto di vista del benessere complessivo e della qualità di vita, che si può e si ha il diritto di scegliere come vivere e affrontare la propria malattia e conseguente guarigione o morte con tutti i pro e i contro delle diverse possibili opzioni.
Insomma, c’è aria nuova. E a non tutti piace.