Una volta, il punto di aggregazione sociale in Grecia era l’agorà ovvero la piazza principale della città, luogo delle assemblee cittadine che vi si radunavano per discutere i problemi della comunità. Vero e proprio centro politico ed economico, luogo del mercato, vi si affacciavano edifici pubblici, santuari delle divinità protettici della città, teatri. L’agorà fu un’invenzione urbanistica senza precedenti, diventando il cuore pulsante di ogni attività umana, dove si creavano e si mantenevano numerose relazioni interpersonali, oltre a prendere numerose decisioni nell’interesse della città.
Passeggiando per le piazze di alcune città medie d’Italia, si trova oggi uno scenario ben diverso. Per quanto un mercato colorato possa ancora portare con sé una idea di aggregazione, durante il resto della settimana le piazze sono spopolate. Esse vivono attraverso alcuni bar che ospitano i turisti per caso, qualche abitué che affoga le sue frustrazioni nel grappino oppure i lavoratori in pausa caffè. Oggi le nostre piazze sono più piene di automobili che di persone. Per quanto i parcheggi siano stati aboliti su alcune piazze, per ridare respiro e parvenza di ordine, le persone comunque non le vivono più e le attraversano frettolosamente. Oggi, il fenomeno “agorà” si è spostato alla periferia, insediandosi nei centri commerciali, rivelandosi inconcludente per quanto riguarda la socializzazione vera e propria e la vita della comunità.
Per incontrare qualche conoscente che non si vede più da tempo, basta andare a fare la spesa in quei luoghi infernali, a mezzogiorno di un giorno festivo. Infernali, sottolineo, perché oggi sono questi supermercati associati a essere il luogo di incontri brevi e fugaci, più superficiali che nutrienti. Lì si trovano i ragazzi che marinano la scuola e che se ne stanno lì a trangugiare pizza e birre, seduti in mezzo ad una folla di consumatori ipnotizzati dalla spesa. Lì si fanno le feste di Martedì Grasso per i pargoletti urlanti, travestiti da principessina o da Batman, in un delirio di popcorn, di odiosi coriandoli di plastica, di musica assordante che impedisce ogni conversazione. Lì s’incontrano gli innamorati seduti in tristi grill e paninoteche, assorti ognuno nel suo telefonino, a scambiare foto e messaggini, a farsi autoscatti selfie (che rima con selfish). Non possono essere agorà questi squallidi luoghi di cemento armato, con parcheggi per migliaia di macchine.
Non possono essere agorà, questi luoghi dell’assenza, volti soltanto al consumismo. Dalla mancanza di un luogo fisico e simbolico nel ”cuore della città”, dove i cittadini si ritrovano per comunicare e relazionarsi, deriva senz’altro una politica sempre più estranea all’uomo e al bene comune.
Forse è per questo, che numerose persone diventano agorafobe. Diventa urgente ricreare il tessuto umano delle nostre piazze, invitandoci musicisti, artisti, artigiani, bambini, donne e, perché no, instaurando vari “speaker corner” per pronunciare discorsi pubblici, come succede a Hyde Park a Londra.
Le questioni della città e dei suoi abitanti ci riguardano tutti e se vogliamo riprendere le nostri sorti in mano, dobbiamo rioccupare le piazze e scambiare le nostre visioni, idee, opinioni, ricette, saperi, speranze.
Altrimenti, la frammentazione della società in corso sta per aprire le porte a subdole forme di totalitarismo.