di Lorenza Troian* – Giulia Segna ha 29 anni, una laurea triennale in mediazione linguistica e interculturale, una specialistica in relazioni internazionali ed è al secondo anno di dottorato, pronta a partire per la Florida con un progetto di ricerca che la vedrà impegnata per cinque mesi, da agosto a dicembre 2021. Al centro dei suoi studi: la sensibilità interculturale nell’ambito della cooperazione internazionale.
Mentre parla dei suoi progetti per il futuro il tono di voce è squillante, la comunicazione un flusso continuo ed entusiasta. Giulia trattiene nei grandi occhi scuri la bellezza delle esperienze vissute: “Se mi guardo indietro, trovo la mia vita ricca di persone, suoni, colori, sfumature…”.
Riflettendo sul suo percorso di studi e sulle numerose esperienze di volontariato all’estero, confessa di non sapere bene a cosa attribuire la sua vena internazionale. Sicuramente ai tanti viaggi fatti insieme ai genitori fin dalla più tenera età, ma non solo: “Ricordo che fin da piccola, guardando l’Africa in televisione, pensavo che avrei voluto vederla, scoprirla con i miei occhi”.
All’età di 23 anni, Giulia realizza finalmente il suo sogno: “Nel 2014, dopo un percorso di formazione specifico, sono partita per l’Etiopia con Vides, una Ong di suore salesiane che mi aveva suggerito un’amica di famiglia”. Ricorda con orgoglio: “Le suore mi avevano detto che se volevo potevo provare a portare qualcosa, medicinali o vestiti per bambini. Non appena ho girato la richiesta ad amici, parenti e familiari, sono stata sommersa di vestitini, pigiami, colori, quaderni, medicine, latte in polvere, assorbenti… La mia voce è stata ascoltata e tante persone si sono mobilitate grazie alla fiducia che avevano in me, e alla certezza che, per mio tramite, le cose sarebbero arrivate a destinazione. La loro fiducia e la responsabilità che mi hanno dato mi hanno fatta sentire onorata“.
Due anni dopo è la volta del Sudan: “Lì però sono andata per scopi di ricerca, perché stavo scrivendo la mia tesi magistrale”. Ad ispirarla, un carismatico professore di comunicazione interculturale che di lì a poco, per i successivi cinque anni, sarebbe diventato Ambasciatore italiano in Sudan. “È stato così gentile da accogliere l’idea della tesi e invitarmi in ambasciata, mettendomi nelle condizioni di raccogliere materiale per la mia ricerca. Il tema era simile a quello di adesso, del dottorato: valutavo, tramite interviste, la sensibilità interculturale di chi lavorava in ambasciata. Saper stare e collaborare con persone di altre culture non è una dote così scontata, né tantomeno innata: molto spesso bisogna proprio studiarla, esercitarla”.
Passano altri due anni e Giulia riparte per l’Africa, questa volta di nuovo per un’esperienza di volontariato internazionale. “Durante il periodo di formazione del servizio civile, che ho svolto a Roma, ho conosciuto delle ragazze che sarebbero partite per il Senegal, con il servizio civile all’estero. Siamo rimaste in contatto e ho pensato che sarebbe stato bello raggiungerle”.
Appoggiandosi al Cipsi, Giulia intraprende così una nuova avventura: “Ho aiutato le ragazze che avevo conosciuto, collaborando a dei progetti che stavano portando avanti e poi, cosa di cui vado molto fiera, ho inserito un progetto nel progetto: mi sono inventata un gemellaggio con la scuola di Roma presso cui avevo prestato servizio civile proponendo laboratori di educazione alla cittadinanza globale. Al termine dell’esperienza ne ho scritto un articolo”.
Giulia racconta a grandi linee l’iniziativa, trasmettendo la gioia della relazione che, tramite il suo progetto, è riuscita a creare tra bambini provenienti da realtà tanto diverse e lontane.

La vocazione di Giulia per il sociale affonda le radici in un episodio ben preciso: una lettera piena di gratitudine da parte di una zia suora di clausura che lei e la mamma erano andate a trovare in Umbria. “Ovviamente per lei incontrare delle persone era una cosa piuttosto rara. Qualche giorno dopo ci scrisse una lettera dicendo che l’avevamo resa felicissima, l’avevamo riempita di gioia. In quel momento
mi sono resa conto di quanto fosse bello rendere felice qualcuno, anche quando a te sembra di non aver fatto niente.
Quella lettera mi è proprio rimasta impressa e credo che da lì sia nato il mio amore per… darmi da fare per far stare bene gli altri, impegnarmi per rendere più felici le persone che ho intorno”.
Ad aiutarla, in questo, la capacità di cogliere la bellezza ovunque. E di saperla restituire, declinata in diverse forme. Una delle sue preferite è attraverso la scrittura.
“Quando sento che qualcosa mi sta emozionando mi si accende il campanellino B-hop – il magazine con cui collabora da anni come autrice – e penso che potrebbe diventare un articolo. Spesso poi le persone mi dicono che non si erano mai viste in quest’ottica: non avrebbero mai pensato che la loro esperienza potesse essere bella o raccontabile”. Sorride entusiasta: “È bello far sentire le persone fonte di ispirazione. Tante volte nella nostra vita non ci rendiamo conto dell’esempio positivo che possiamo rappresentare per gli altri”.
Molte delle persone di cui Giulia ha scritto, in questi anni di collaborazione con B-hop, sono persone vicine a lei, amici e familiari in primis, “perché la bellezza è ovunque! A me a volte chiedono come faccio a trovare storie belle ma basta che ci guardiamo intorno: tutti siamo portatori di storie belle, basta saperle vedere!”.
Giulia riconosce la bellezza in ogni cosa in grado di farle provare un’emozione positiva: “Sento una connessione con tutto ciò che mi circonda, mi sento parte di una realtà indecifrabile che forse proprio per la sua misteriosità è così bella, accattivante, magica. Sono immersa in una dimensione in cui sono capitata mio malgrado, perché nessuno di noi sceglie di nascere, come nascere, quando nascere e dove nascere ma ecco, tutte queste domande senza risposta sento che fanno parte comunque della bellezza”.
Giulia è convinta che quanti non la colgono lo fanno per una ragione ben precisa: “Preferiscono assecondare i ritmi disumani della società occidentale contemporanea, ritmi di velocità estrema, di operosità, di frenesia, di nevrosi. Sono persone che non hanno la capacità di rallentare, soffermarsi su una cosa che sta suscitando loro un’emozione; non hanno la capacità di provare gratitudine per quella sensazione e non si concedono la possibilità di viverla pienamente”.
“Credo che la bellezza sia collegata alla lentezza”, sottolinea.
L’invito di Giulia è dunque di prendersi delle pause, di rallentare, concedersi dei momenti di totale solitudine e silenzio. A casa, leggendo un libro, o, come piace fare a lei, immersi nella natura.
“Quando sento che sono in sovraesposizione da stress e da ritmi frenetici, mi obbligo a mettere in pausa il lavoro che sto facendo e vado a fare una camminata da sola, a volte lascio anche il cellulare a casa. A livello sia fisico che mentale mi fa sentire proprio ricaricata”.
Giulia ha la fortuna di abitare in una zona non molto conosciuta di Roma, leggermente fuori dal raccordo anulare, all’interno di una riserva naturale che si chiama Marcigliana. “Qualche giorno fa, facendo esercizio a casa, ho intravisto un arcobaleno bellissimo nel cielo e ho deciso di fermarmi, anche se così avrei interrotto la continuità dell’allenamento, per non perdere la preziosità di quel momento. Sono uscita fuori sul balcone e ho esclamato, ad alta voce: Che meraviglia questo arcobaleno, è bellissimo! Ecco, quando parlo di fermarsi e di concentrarsi su quello che si sta vedendo, e che è bellezza, intendo dire questo. È un esempio molto recente, concreto e pratico di come io la viva, del tempo che decido di dedicarle”.
Mentre Giulia descrive la scena con entusiasmo, riconosco qualcosa nei suoi occhi scuri: lo stupore dei bambini, la meraviglia di chi vede tutto per la prima volta.
* L‘articolo è stato realizzato nell’ambito delle esercitazioni svolte dalle partecipanti alla edizione 2020 del corso “Dalle news tossiche al giornalismo costruttivo e di comunità” organizzato dall’associazione B-hop.
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