(di Agnese Malatesta) – “C’è chi sente la cooperazione come un lavoro che svolge con gran capacità e chi invece la sente semplicemente come parte integrante della propria vita. Senza questo tipo di persone non ci potrebbe essere la cooperazione”. Ecco spiegato lo spirito della cooperazione allo sviluppo dalle parole di chi si sta per apprestare ad entrare a pieno titolo, come operatore, in questo mondo che coniuga motivazioni etiche per l’affermazione dei diritti umani a competenze professionali contro la povertà e lo stato di disagio sociale nei paesi in via di sviluppo.
Sono le parole di un ventiseienne, Andrea Comba, neodiplomato al Master Universitario di secondo livello in Cooperazione e Sviluppo all’Università di Pavia. E che non sia solo un’esperienza di studio è subito chiaro: sono le persone che fanno la differenza. Le persone – ossia i cooperanti – a cui si riferisce Andrea “si riconoscono dalla calma, dallo spirito, e da una grande e sincera umiltà accompagnata da una saggezza equivalente. Credo che il modo più semplice di affezionarsi alla cooperazione, alla fine, sia incontrare una di queste persone, avere la fortuna di averli come maestri o come colleghi”.
Per lui, come per i tanti giovani che si avvicinano ogni anno alla formazione di questa professione, si tratta di una scelta inevitabile, esito di un percorso di studi e di interessi personali e culturali che conduce per forza di cose ad un impegno che diventa qualificato per realizzarsi al meglio. È infatti necessaria una formazione ad hoc per lavorare sul campo in paesi dove spesso conflitti e relazioni sociali e comunitarie vanno affrontate adeguatamente garantendo sicurezza ma anche interventi efficaci.
Teoria e pratica, quindi. Andrea, ad esempio, ha svolto un tirocinio in Niger, con l’ong CISP (Comitato Internazionale per lo sviluppo dei popoli), presentando una tesi sull’accoglienza dei rifugiati. Anche le testimonianze dal vivo, sono un bagaglio formativo significativo: “i racconti di chi ha viaggiato, vissuto, conosciuto situazioni così diverse tra loro e, spesso, tanto affascinanti quanto dure, hanno costellato il periodo passato all’università rendendolo tutto fuorché monotono”, dice ancora Andrea a B-hop magazine.
Xhesi Demishago, albanese di 31 anni, studentessa del Master di Pavia, titolare di una borsa di studio finanziata da Aics (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo), sottolinea che “lo sviluppo è un lungo processo che parte dal beneficiario fino all’attuazione dei progetti. Durante questo processo, ho imparato ad essere paziente per ottenere risultati e a condividere le responsabilità per ‘non lasciare nessuno indietro’.
“La cosa più importante che sto imparando però restano l’intreccio e l’armonia tra tutte le diverse culture” che si conoscono via via e “che, nella sostanza, riguardano le persone stesse”.
Il Master dell’Università di Pavia, alla ventiquattresima edizione, si svolge in partnership con tre Ong italiane, CISP, COOPI, VIS. È aperto a trenta studenti italiani e stranieri, si svolge in lingua inglese e offre una formazione accademica e pratica di alta qualità per diventare professionisti nella cooperazione internazionale. Il piano di studi affronta gli aspetti economici, sociali e gestionali relativi alla materia.
“L’alleanza fra mondo accademico e mondo delle Ong è fondamentale. Nella formazione è in particolare fondamentale – osserva Maura Viezzoli, presidente di CISP – lo stage sul campo che permette di confrontarsi con i problemi in concreto e di conoscere i paesi e i partner locali. Non è un caso che circa l’80% dei giovani che esce dal nostro Master riesce a inserirsi nel settore per cui hanno studiato”.
“Per noi organizzazioni della società civile – prosegue – è prioritario fare affidamento su operatori adeguatamente formati, che uniscano una forte spinta motivazionale con teoria e strumenti operativi. Non ci si improvvisa cooperanti se si vuole fare bene questo lavoro. Si tratta di veri e propri professionisti in grado di lavorare con i partner locali per identificare i problemi e realizzare i programmi che li possano affrontare, possedere competenze amministrative e di sviluppo sociale, di relazione ed interscambio, conoscenze dei luoghi in cui operano, abilità di tipo diplomatico. Abbiamo di fronte sfide molto impegnative, emergenze che non tollerano improvvisazione. La recente pandemia lo ha insegnato, come anche le riflessioni sulla sicurezza degli operatori. Tutto ciò ha come punto di partenza la consapevolezza delle complessità da affrontare, per cui servono competenze all’altezza”.
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