Il primo interrogativo che si pone, parlando di Balthus, sia per chi ancora non lo conosce, sia per chi è appassionato del suo genio è: chi era? Balthus, direttore per 17 anni dell’accademia di Francia a Roma, dal 24 ottobre al 31 gennaio ritorna nella città eterna con una grande mostra monografica in due sedi: Scuderie del Quirinale/Villa Medici.
Dire che Balthasar Klossowski de Rola, in arte Balthus, era figlio del pittore Eric Klossowski e di Baladine, autrice di acquerelli, è necessario ma non sufficiente. La classe sociale d’appartenenza sicuramente lo influenza.
Alla domanda posta dal critico d’arte Russel che gli chiedeva della sua vita, il pittore così rispose: “Niente note biografiche. Inizia: Nulla è noto della vita di Balthus. E ora guardiamo i suoi dipinti. Saluti”.
A soli dodici anni viene pubblicato il suo primo libro di disegni, intitolato “Mitsou”, il gatto da lui perduto, accompagnato da una prefazione scritta da Rainer Maria Rilke. La passione per i gatti accompagnerà Balthus per l’intera vita, facendo di quell’animale quasi un alter ego: si pensi a “Autoritratto. Il re dei Gatti” e a “ Therese che sogna”. Nel primo, Balthasar appare austero, fiero, dandy, ma allo stesso tempo distaccato, come se non volesse sfidare l’osservatore, come se fosse indifferente all’altrui sguardo, mentre ai suoi piedi un gatto, di dimensioni sproporzionate, si arruffiana: il felino – essere in cui si rispecchia -, da sempre è simbolo di mistero, di inquietudine, di indifferenza tra bene e male, di imperscrutabilità.
Nel secondo dipinto, accanto al consueto animale, appare un altro vezzo del pittore: le ragazze di età inferiore ai 12 anni, nel caso specifico Therese, sua modella nel periodo d’oro, che vicina al gatto, intento a leccare la sua ciotola di latte, è immersa, nell’intimo del suo erotismo, in un sonno infantile. Per Balthus il felino e la femminilità sembrano esser due facce della stessa medaglia, due porte d’ingresso ad un mondo non accessibile, ad un universo che pur attraendoci, non si può comprendere o spiegare, ma solo intuire, afferrare per immagini.
Quest’ultimo aspetto ha provocato numerosi rumori. Recentemente in Germania, a Essen, è stata censurata una mostra di polaroid, usate per un Balthus ottantenne e con mano tremolante e ritraenti una giovane modella, per sospetta pedofilia.
Molteplici sono state le domande: qual è il confine tra arte e morale? Quale la linea sottile che divide la vita di un artista e le sue opere?
A prescindere dai rumors, ad avviso di chi scrive l’etica non dovrebbe avere attinenza alcuna con l’arte e se mai cosi, per talun altro, invece legittimamente così fosse, penso che l’intento del pittore fosse completamente diverso. Si pensi, a titolo esemplificativo, ad “Alice attraverso lo specchio”: nel quadro non c’è sessualità alcuna, nessuno dovrebbe esser il desiderio che ne scaturisce: Alice è si nuda davanti allo specchio (rappresentato nel caso preso in esame dall’osservatore), ma le sue gambe sembrano un solido geometrico, sono smisurate rispetto al tronco, le scarpe non risultano in tinta con gli altri colori, il seno più che attraente è attratto pesantemente dalla gravità. Uno solo è l’intento – similmente rinvenibile anche nei dipinti raffiguranti le giovani fanciulle -: cercare di far entrare lo spettatore in un mondo che non gli appartiene, iniziarlo ad un’intimità che mai sarà sua, ma che neppure è e sarà di quelle adolescenti, poiché in un’ètà incapace di concepire il mistero della loro intimità, un mistero che per definizione non sarà oggetto di diritti. Opportunamente Vittorio Sgarbi scrive “i quadri di Balthus non dovrebbero esser interpretati, ma solo visti”.
Bisogna anche ricordare che l’artista, contemporaneo e a nessuno comparabile, è stato anche un profondo stimatore di Piero della Francesca e da questo in parte influenzato e sicuramente nelle sue opere forte risulta l’influenza del surrealismo di De Chirico.
La sua pittura è intellettuale, raffinata, nulla è lasciato al caso, continuo è lo sforzo nel perfezionarsi.
Sul merito, dunque, nulla da aggiungere.