(di Filippo Bocci) – Chi si prendesse la briga di visitare il Museo di Roma in Trastevere, farebbe l’utile incontro con una giovanissima novantaquattrenne, Lisetta Carmi, fotografa, alla quale viene dedicata la prima esposizione pubblica a Roma, fino al 3 marzo 2019.
Personaggio dalla vicenda biografica straordinaria, classe 1924, genovese di origini ebraiche, frequenta le scuole e a dieci anni inizia lo studio del pianoforte. Riesce a dare gli esami al Conservatorio, ma le Leggi razziali e la caccia all’ebreo costringono la famiglia a riparare in Svizzera. Dopo la guerra intraprende l’attività di concertista e suona in Europa e in Israele.
Di grande temperamento e di profondo rigore intellettuale, si sente donna del suo tempo, viaggia a lungo – spesso in Israele, con il quale ha un rapporto conflittuale, odi et amo – ma soprattutto smette di colpo di suonare il pianoforte, mandando alle ortiche una promettente carriera concertistica. E così, nel 1960, scatta le sue prime fotografie, fedele solo a sé stessa e alle sue idee. Comincia la grande avventura di venticinque anni di immagini che la mostra romana, curata da Giovanni Battista Martini e strutturata in sezioni, racconta con ordine.
Osservando i lavori della Carmi
si ha sempre la sensazione di essere sul pezzo, al centro della storia, e di cogliere ogni volta il non detto al di là dell’obiettivo.
A cominciare dagli intensi, persino spietati, dodici scatti al poeta statunitense Ezra Pound, che lo sorprendono come denudato nella tristezza, e che le valsero il Premio Niépce per l’Italia, strappando l’elogio convinto di Umberto Eco membro della giuria.
Poi c’è l’amata Genova, documentata soprattutto attraverso le difficili condizioni lavorative degli operai portuali, i cosiddetti “camalli”, o l’originale, anticonformistica lettura dei monumenti funebri borghesi del Cimitero monumentale di Staglieno.

C’è la Sicilia e i suoi abitanti, raccontata nell’anima insieme ai testi di Leonardo Sciascia. Da ogni fotogramma dei suoi viaggi trasuda umanità, che sia l’India, l’Afghanistan, il Messico o Israele, la Colombia o il Venezuela.

Significativo poi il libro Métropolitain del 1965, realizzato da Lisetta Carmi in un’unica copia, dove immagini originali della metropolitana di Parigi sono collegate a pagine dei racconti di Istantanés di Alain Robbe-Grillet.

La sua ricerca fotografica ha toccato anche l’espressione artistica del teatro e della musica. Troviamo così esposte nella mostra le foto di scena di un Aspettando Godot del 1964, al Duse di Genova per la regia di Carlo Quartucci, o ancora i ritratti di Claudio Abbado, Luigi Nono, Zoltán Kodály, fino ad arrivare alla collaborazione con Luigi Dallapiccola e al Quaderno Musicale di Annalibera del 1962, stampato e rilegato personalmente in poche versioni. E la musica sarà il demone che continuerà ad agitarla, se è vero che negli anni ’90 riprenderà a suonare il pianoforte.

Nel 1968 scatta delle formidabili foto di un parto, per un lavoro commissionato dal Comune di Genova. Quanta bellezza e quanta forza nel raccontare la purezza della natura umana!
Ma forse la narrazione più potente è quella dei “Travestiti”, ancora nella sua Genova: la Carmi intreccia con loro un profondo rapporto di amicizia, e li svela nella quotidianità, con i suoi scatti, lungo sei anni della loro vita. Quelle immagini vennero pubblicate nel 1972 in un libro che suscitò grande scandalo e fu rifiutato addirittura dalle librerie.

Come tutta la vera arte, l’opera di Lisetta Carmi è strumento di conoscenza. Nella lunga intervista video a corredo della mostra, è infatti proprio lei a ricordare che la fotografia le ha permesso di conoscere e liberare sé stessa:
“Fotografando i travestiti ho capito che non esistono gli uomini o le donne: esistono solo gli esseri umani”.
È la lezione più bella di una grande donna.