di Agnese Malatesta – Due studenti universitari fianco a fianco. Studiano insieme, si scambiano appunti e libri, si confrontano su piani di studi ed esperienze didattiche. Uno dei due è un detenuto, l’altro il suo tutor. E’ un dare e un avere di saperi per entrambi secondo un equilibrio esemplare.
E’ il nucleo del Progetto Carcere, nato nel 2015, per iniziativa di Stefano Simonetta, docente di Storia della Filosofia Medievale presso il Dipartimento di Filosofia “Piero Martinetti” dell’Università degli Studi di Milano, che ha proprio nell’affiancamento di studenti, interni ed esterni al carcere, l’idea strategica e di valore.
E’ un progetto – avviato da una Convenzione tra l’Ateneo e il Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria – che al momento conta 130 ‘studenti ristretti’ (all’inizio erano appena sei) per oltre 30 corsi universitari, tanto da diventare
il primo polo d’Italia per numero di studenti detenuti coinvolti, oltre il 10%.
La rete dei tutor conta un centinaio di studenti che in molti casi seguono per anni uno o più studenti ristretti, recandosi settimanalmente in carcere.
“Lo spirito che muove noi persone libere ad entrare in carcere è, almeno inizialmente, mera curiosità mista a desiderio di essere utile al prossimo ma questo si esaurisce quasi subito – dice a B-Hop magazine Elisa Canovi, 25/enne, laureata in filosofia e prossima alla laurea magistrale in Scienze filosofiche, che svolge attività di tutoraggio da diversi anni -. L’impulso che ti fa rimanere, che settimana dopo settimana ti incentiva a ritornarci, per anni, è qualcosa di più profondo:
la relazione umana che si instaura tra tutor e detenuto va ben oltre l’istantaneo senso di appagamento per aver fatto qualcosa di buono ma si instaura su una dimensione di scambio attivo ed inesauribile di idee, opinioni e riflessioni che arricchiscono,
e arricchiscono da entrambe le parti proprio perché derivanti da esperienze di vita tanto diverse”.
Il Progetto Carcere – in sintonia con l’art. 15 dell’Ordinamento Penitenziario che individua nell’istruzione e nella cultura uno dei principi rieducativi su cui si deve basare l’esecuzione penale – traduce in pratica il diritto allo studio per chi ha forti limitazioni, come i detenuti.

Quindi, cosa fanno i tutor?
A livello didattico sopperiscono ad attività molto semplici che diventano un problema per chi vive in stato di detenzione, come reperire materiali utili per gli esami, orientarsi nella stesura del piano di studi o nella scelta degli esami.
Da tenere presente che molti studenti si sono alfabetizzati in carcere o sono persone anziane che non studiano da diversi anni, e che hanno quindi bisogno di sostegno didattico e, spesso, anche motivazionale, visto che queste persone hanno poca fiducia in se stesse. E il tutor ha anche questo compito.
Ma c’è un livello che, per Elisa, è molto più importante ed è quello umano:
“Siamo persone, fatte di emozioni e sentimenti e perciò entriamo inevitabilmente in empatia con l’altro.
Noi tutor entriamo spesso a contatto anche con storie di persone e dinamiche relazionali. Si instaura uno scambio attivo e permanente tra due teste pensanti poste sullo stesso livello: le differenze non sono limiti, spesso sono pregi”. Attraverso questo rapporto personale, si crea una fiducia: “gli studenti sono spronati a fare meglio, i tutor ad essere più presenti”. Un rapporto che, fra l’altro, spezza l’elemento disumanizzante del carcere.
Dalle parole di uno studente di Elisa, così come lei lo racconta, si capisce il valore umano, oltre che quello formativo, del progetto. “Ho iniziato l’attività di tutoraggio con lui che aveva appena cominciato l’università e tra meno di un mese si laurea.
E’ una grande emozione vedere i suoi successi accademici, ma ancor più grande è l’emozione nel rendermi conto che la mia presenza nella sua vita è stata molto più di questo.

Così come accade fuori, anche in carcere la cultura è un’arma potentissima, così come lo è lo scambio di opinioni. Ecco, questo studente non ha scritto alcun ringraziamento, poiché giustamente attribuisce il merito della sua brillante carriera accademica a se stesso, però ha scritto una dedica, a me, che dice: ‘Ad Elisa, acqua sul fuoco del mio cinismo caustico’. Non credo ci sia bisogno di alcun commento”.