(di Margherita Vetrano) – Come tutti gli anni, l’inizio di quello scolastico si presenta frizzante ed allegro per tutti, insegnanti ed alunni che rientrano in classe. E’ ricco di progetti, ritorni, incontri e scoperte, a meno che… a meno che tuo figlio non sia un bambino “diversamente abile” e tu non sia un genitore battagliero.
In questo caso, si apre un mese di ansia ed angoscia, legato al “toto” maestra di sostegno, AEC ed assistente alla comunicazione, vale a dire, tutte quelle figure che ruotano intorno al bambino, per consentirgli di stare al passo con la classe.
Se il principio di continuità fosse rispettato, ogni figura professionale sarebbe abbinata al bambino dal primo anno e sostituita solo in casi particolari.
Invece, nel balletto delle assegnazioni/ nomine/rifiuti, l’attuale sistema scolastico consente un turn over vertiginoso per il quale si può arrivare anche a metà ottobre senza avere l’assegnazione degli assistenti e/o, come accade di norma, incontrare ogni anno nuove figure, a discapito dei bambini che sono costretti a cambiare continuamente punti di riferimento.
Non è facile: non per loro, che a seconda del grado di disabilità si trovano più o meno smarriti, non per noi genitori che siamo troppo spesso chiamati ad un tour di protesta per uffici circoscrizionali, correndo contro il tempo, nella speranza vana di riuscire a far rispettare i diritti dei nostri figli.
Le diverse competenze e pertinenze di uffici comunali e statali, inoltre, legano le mani alla scuola, che assiste impotente all’impostazione dei nuovi anni, pur conoscendo molto bene le esigenze di famiglie e studenti.
Un panorama triste, se non subentrasse la buona volontà e il cuore dei veri eroi della pubblica istruzione: gli insegnanti che sempre più spesso si fanno carico delle esigenze degli alunni e creano alchimie magiche per accompagnarli nel percorso didattico.
Così è stato per noi finora e, mi auguro, lo sarà in futuro.
Fortunatamente, passato il cardiopalma delle assegnazioni, ci siamo trovati nelle mani di un’equipe amorevole, prima al nido e adesso nella scuola dell’Infanzia, che ha sposato le esigenze di nostro figlio Edoardo, in un progetto di abbattimento delle barriere sensoriali.
La sua sordità bilaterale medio-grave, combinata con ritardi a macchia di leopardo nello sviluppo neuropsichiatrico, impongono un lavoro coordinato con l’assistente alla comunicazione, Veronica De Bono: di fatto, è l’interprete che lo aiuta ad aprirsi al mondo e che permette ai maestri di capirne le esigenze inserendolo nel gruppo, con l’ausilio della Lingua Italiana dei Segni LIS.
“La vita di una maestra è fatta di incontri. Ogni bambino è una storia a sé; quando è arrivato Edoardo, conoscevamo molto di lui, la sua storia così intensa nonostante la sua piccola età, ma non sapevamo come relazionarci”, racconta a B-hop la maestra di sezione, Giuliana Mastrocesare, dell’I. C. Via G. Messina di Roma.
“Bisognava trovare una strada diversa. Non avevo mai avuto esperienze con bambini sordi né tanto meno con la lingua dei segni – prosegue l’insegnante -. All’inizio è stato difficile, a volte frustrante per entrambi. Con l’aiuto di Veronica e delle sue mani parlanti siamo riusciti a colmare le lacune”.
“La cosa più incredibile però è stata la capacità degli altri bambini di trovare un canale di comunicazione con Edoardo, di accoglierlo”.
“In questo clima di inclusione Edoardo ha trovato il suo spazio. L’uso della lingua dei segni è stato corale ed abbiamo imparato insieme, bambini ed insegnanti, a contare, a raccontare storie, a giocare. Tutto è divenuto più semplice, anche sfruttando l’ausilio di storie con molte illustrazioni e il tablet. Nella nostra sezione si canta e si balla molto ed Edoardo ha sempre dimostrato una capacità innata di muoversi a ritmo insieme a tutti noi”.
Ma quale la ricetta per creare la magia? “La prima volta che ho visto Edoardo, che lui ha visto me, è stato un incontro di sguardi fortissimo, un sorriso reciproco, mi ha preso la mano, e mi ha porto un libro, quasi volesse dirmi: Finalmente, sei arrivata, forza, cominciamo!- e questa è la modalità che usa con me da due anni a questa parte”, dice Veronica De Bono.
”Non uso una tecnica invadente, non mi impongo mai nel rapporto e questo ha creato sintonia tra noi; è un bambino schivo ma ha molta voglia di esserci e mi usa come strumento di comunicazione col gruppo classe e per l’apprendimento. Il mio non è un metodo impositivo, sarebbe controproducente; Edoardo sa che, quando intervengo, per lui è importante. Ha imparato a capire che ha bisogno di me e con la mia presenza si rilassa perché sa che niente può sfuggirgli”.
“L’emozione più grande – spiega Veronica – è stata sentirlo ripetere il ciclo dell’acqua, perché la sua difficoltà più grande è stato apprendere i concetti e le relazioni tra le cose: segno-parola-concetto. Ho provato e riprovato con segni diversi, ho sentito il peso della responsabilità di passargli un codice comunicativo finché non l’ho visto farlo suo e apprendere con grande velocità e benissimo. Tutto questo mi ha dato grandi stimoli e gioia, perché inizialmente non era in grado di riconoscere le proprie emozioni e soprattutto non aveva la capacità di focalizzare l’attenzione su qualcosa perché non pensava che quel qualcosa gli potesse trasmettere un messaggio”.
“Questo è il lavoro più grande che ho fatto in questi due anni: insegnargli a capire che ogni cosa, per lui, ha valore, che sia un compagno o un oggetto”.
Una grande sfida dunque, che ha richiesto grande impegno reciproco ma è stata supportata dall’ambiente positivo che si è creato intorno a loro.
“Sono capitata in un contesto classe fantastico – racconta Veronica – in cui gli insegnanti si sono messi in gioco con tutta la classe ed ora siamo nella piena consapevolezza di un linguaggio parallelo alla lingua parlata che bambini di quattro anni sono in grado di gestire”.
L’amore per il prossimo abbatte tutte le barriere? Non solo, si tratta di grande professionalità e passione. L’utilizzo della Lingua dei Segni, anche attraverso il gioco, ha permesso ad Edoardo di comprendere tutti i contenuti e stare al passo con la classe.
Veronica ha cercato inoltre di trasmettere ai maestri e ai compagni il codice utilizzato con Edoardo per costruire relazioni individuali e aiutarlo ad inserirsi piacevolmente nel gruppo classe. Il percorso è ancora lungo ma sono state messe le basi per un buon lavoro di conoscenza ed inclusione.
Con insegnanti così, la scuola non fa più paura.