(di Maralis) – Più i toni salgono e l’aria si fa tossica in Italia sulla questione migratoria, più la solidarietà aumenta. Almeno da parte di chi è già orientato all’accoglienza. Tanto che c’è chi si candida ad aprire le porte di casa ai rifugiati, mettendo a disposizione una stanza e condividendo tutto. A dirlo è la onlus Refugees Welcome Italia che dal 2016 promuove progetti di accoglienza diffusa all’interno delle abitazioni degli italiani.
«Mentre si chiudono i porti – scrivono gli attivisti – c’è chi apre le case».
Lo dimostra l’impennata di messaggi, di richieste di collaborazione e offerte di convivenza, registrati dai desk della onlus milanese in queste ore.
«Nella settimana appena trascorsa – confermano gli attivisti – abbiamo rilevato un incremento sensibile di registrazioni sulla piattaforma web, tanto da parte di famiglie disponibili a ospitare un rifugiato, quanto da parte di aspiranti attivisti, che vogliono unirsi ai team territoriali o dare avvio a un nuovo gruppo».
La solidarietà è quantificabile: negli ultimi otto giorni c’è stata un’impennata di oltre l’80% nelle iscrizioni, con circa 40 nuove famiglie pronte ad aprire porte e cuore a chi scappa da guerre, persecuzioni e povertà.
A Macerata è partita una nuova convivenza, l’ultima in ordine di tempo: Michele, 41 anni, ha deciso di aprire le porte di casa a Sadaqat, titolare di protezione sussidiaria pakistano.
Arriva così a 90 il numero di convivenze attivate nei due anni e mezzo di attività di Refugees Welcome.
A Bologna, ad esempio, Anas, rifugiato siriano ha trovato la salvezza. La sua storia è rocambolesca e la raccontano gli attivisti di Refugees Welcome: ferito gravemente in Siria, viene curato con mezzi di fortuna ma la sua gamba destra, perforata da due proiettili, si infetta e peggiora giorno dopo giorno.
Decide così di lasciare il suo Paese per sopravvivere: va in Libano e dopo in Libia, da dove si imbarca per Lampedusa. Arriva in Italia nel 2015, poi si sposta in Svezia e Germania, dove viene curato sommariamente e dimesso da vari ospedali e, infine, rispedito nel nostro Paese, con la gamba sanguinante, in virtù degli accordi di Dublino. Atterra a Milano, portato in quattro diverse strutture, viene ogni volta visitato e dimesso con anti-dolorifici. Oggi è in via di guarigione.
A fronte di chi sostiene a parole politiche governative di chiusura e respingimento, si rafforza lo zoccolo duro dei solidali, dunque.
«L’analisi dei nostri dati racconta un’altra Italia – dichiara a b-hop Fabiana Musicco, presidente di Refugees Welcome Italia –; in prima linea per contribuire a un diverso modo di accogliere e sostenere l’inclusione nella società italiana. Un bel segnale nella Settimana del rifugiato».
Gli attivisti ricevono messaggi come questo:
«Vorremmo fare qualcosa di concreto per aiutare chi è in difficoltà. Crediamo sia giusto per chi vive in un paese meno svantaggiato che attraversa una fase storica in cui il senso di umanità sembra essersi smarrito».
Ma il desiderio degli italiani di essere cittadini attivi e responsabili non si ferma qui: sono moltissime le Onlus il cui lavoro si basa soprattutto sul volontariato della gente comune, disposta a dedicare ore di tempo per assistere i migranti appena sbarcati.
Lo fanno ad esempio da anni i volontari di MEDU, Medici per i Diritti Umani, che offre servizi sanitari a chi arriva in Italia, con l’idea quasi sempre di trasferirsi altrove, soprattutto in nord Europa.
Senza la presenza costante delle decine di persone sul campo questa ed altre onlus non potrebbero esser tanto capillari.
MEDU è presente a Roma e Firenze col progetto “Un camper per i diritti”, una clinica mobile che si sposta nelle zone critiche della città (a Roma fa tappa fissa anche all’ex Penicillina a Ponte Mammolo, fabbrica abbandonata ed occupata) con a bordo un team di medici e infermieri.
I volontari di Medu raccolgono anche le testimonianze di viaggio di chi è arrivato in Europa dopo anni di peripezie, attraverso difficili rotte migratorie sub-sahariane, con tappa fissa e lunga in Libia, tra trafficanti e prigioni a cielo aperto.
A Firenze il 76% delle persone visitate negli ultimi 12 mesi è titolare di protezione sussidiaria e dello status di rifugiato. Da gennaio a dicembre 2017 i medici e gli operatori socio-sanitari della clinica mobile di MEDU hanno realizzato 409 visite mediche (tra primi e successivi accessi) 181 pazienti nel corso di 51 uscite serali in 6 insediamenti precari e 2 stazioni ferroviarie.