Londra vuole costruire il muro della Manica a Calais, in Francia, per fermare i migranti: costerà 2,7 miliardi di euro e sarà alto 4 metri e lungo 1 km.
Servirà per impedire che le migliaia di disperati fuggiti da conflitti, povertà e persecuzioni accampati nella cosiddetta “giungla” di Calais (di cui almeno 400 minori non accompagnati), cerchino di raggiungere la Gran Bretagna salendo a bordo di camion e tir con gli espedienti più rischiosi.
Almeno 11 persone sono morte negli ultimi mesi nel tentativo di arrivare nella terra promessa al di là del mare; oltre 27mila migranti sono stati arrestati negli ultimi tre anni per essere entrati illegalmente nel Regno Unito.
Sia i leader degli autotrasportatori, sia delle organizzazioni umanitarie che assistono i migranti della “giungla”, dove vivono ammassati in tende, in condizioni precarie e disumane, ritengono il progetto inutile e dannoso: chi ha passato deserti e mari sopravvivendo all’indicibile non si fermerà certo di fronte ad un altro muro. Troveranno altri modi per passare, assumendosi più rischi e rimpinguando ancora di più le tasche dei trafficanti, che alzeranno i prezzi.
Appena due anni fa l’Europa e il mondo celebravano, ipocritamente, i 25 anni della caduta del Muro di Berlino e della cortina di ferro (9 novembre 1989).
Mentre tanti muri sono ancora alti e senza immaginare (forse) che altrettanti sarebbero stati costruiti.
Il muro tra la Corea del Nord e la Corea del Sud, che dal 1953 segna la demarcazione tra due mondi, oltre che tra due Paesi.
Il noto muro tra Israele e Palestina che divide arabi e israeliani, e da qualche anno il governo israeliano ha costruito anche un muro tra Egitto ed Israele, nel deserto del Sinai.
“Il muro della vergogna” tra Usa e Messico, per impedire l’ingresso di tutti i migranti dal Centro America.
I muri meno conosciuti: tra India e Bangladesh lungo 4000 km o quello di 2700 km nel deserto del Sahara, nel territorio conteso tra Marocco, Algeria e Mauritania.
O i tanti piccoli muri come quelli che in Brasile separano i quartieri ricchi dalle favelas, per difendersi dalla criminalità.
L’Europa dovrebbe coprirsi il capo di cenere dalla vergogna e non più riempirsi la bocca di dichiarazioni vuote e intenti non realizzati, come quello della distribuzione dei profughi dall’Italia alla Grecia nei vari Paesi.
Dopo quello di Ceuta e Melilla, in Marocco e quello tra Grecia e Turchia, i Paesi più a nord si sono dati molto da fare in questi ultimi anni, con recinzioni e controlli sempre maggiori alle varie frontiere tra Italia e Austria, Grecia e Macedonia, Ungheria…
Ciò che è evidente, al di là dell’incapacità e mancanza di volontà politica per trovare realmente una soluzione ad un fenomeno inarrestabile, è la pesante simbologia del messaggio che si vuole dare: di una separazione tra popoli, tra ricchi e poveri, tra primo mondo e terzo mondo, tra chi cerca di migrare per salvarsi dal bisogno e chi si illude di stare al riparo dalla Storia chiuso nelle sue finte sicurezze.
Ma i muri si possono oltrepassare con creatività anche volando, per chi ha la tenacia e il coraggio di credere in un sogno. Anche solo quello di una vita migliore e dignitosa.
Perché il diritto alla felicità è universale e non conosce confini. E noi non smetteremo di crederci.