di Marianna Mandato – Siamo sulla scena di un crimine. Non è roba da film. Non è una scena distante da noi. Un qualcosa di cui parlare in modo distaccato e lontano. Ci siamo immersi quotidianamente. In un crimine continuo. Invasivo. Che prende vita con gesti quotidiani, dall’apparenza priva di risvolti concreti nella vita di tutti.
La vittima è il Pianeta. Nella fattispecie, i nostri mari. Indirettamente, noi stessi.
Parliamo di plastiche, precisamente di microplastiche, con il progetto Plastic Crime Scene Investigation (PCSI). Autrice del progetto è Raffaella Bullo, dell’Università Politecnica delle Marche e della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli.
Laureata in Scienze ambientali marine, ricercatrice, dottoranda, donna poliedrica, con interessi ed esperienze che spaziano nei campi più svariati, l’esplosiva Raffaella ci racconta del suo innovativo e pregevole progetto di ricerca per il monitoraggio della quantità e della qualità delle microplastiche nelle acque del mare e sulle spiagge, per ora lungo il litorale romano.

Nella sua fase iniziale avrà una durata di tre anni. Si basa su un assunto fondamentale: per poter far nostro un problema dobbiamo capirlo in prima persona. Dobbiamo iniziare a pensare tutti che la scienza che studia e analizza il problema non sia qualcosa di lontano da noi.
PCSI si fa promotore di una scienza diversa.
Il progetto si basa su una pratica scientifica già ampiamente utilizzata e sperimentata con successo, specialmente in altri Paesi e in altri settori, ma non in questo settore né in Italia.
Si tratta della Citizen Science. I cittadini diventano scienziati.

Scoprono, ipotizzano, sperimentano, convalidano. Sono loro i protagonisti indiscussi della ricerca stessa in tutte le sue fasi, monitoraggio, raccolta materiale, campionamento, elaborazione dei dati, pubblicazione dei risultati.
La Citizen Science rientra nelle attività sostenute dall’UNESCO per la “Decade degli Oceani” (Ocean Decade): dal 2021 al 2030 è infatti il Decennio delle scienze oceaniche. Nell’Agenda 2030, uno degli obiettivi da raggiungere è la conservazione e l’utilizzazione sostenibile degli oceani, dei mari e delle risorse marine.
I cittadini sono completamente immersi nel problema da veri scienziati.
La cosa migliore per capire come funziona la scienza è aprirla. È uscire fuori dai laboratori.
Tanto che la European Reserche Center ha detto dovete spingere sulla Citizen Science.
“Aprite e fate partecipare le persone”, sottolinea Raffaella.
L’utilizzo della Citizen Science per un progetto come questo, implicante monitoraggio sulle coste e in mare, con contestuale raccolta di materiale, è un’assoluta novità. Ritenuta quasi impossibile da molti, principalmente a causa della strumentazione poco accessibile e utilizzabile dai cittadini.
Raffaella ha iniziato questa avventura proprio partendo dalla strumentazione necessaria, perché potesse essere resa accessibile ai cittadini scienziati.
Così, il primo step è stato quello di riuscire ad ideare uno strumento semplice e nuovo, calibrato secondo le linee guida dettate dalla Direttiva Quadro della Strategia Marina sulla definizione del buono stato di salute dei mari europei.
Per fare questo tipo di ricerca in mare, secondo il protocollo europeo, serve normalmente uno strumento che si chiama Manta Trawl Net. Una strumentazione molto grande. Ha un’apertura di più di due metri, una bocca enorme, servono tecnici preparati perché è piuttosto articolato maneggiarlo, e soprattutto serve una barca grande che preclude la ricerca sottocosta.
“Ho preso questa manta, ho fatto le dovute proporzioni, e dopo una serie di calcoli, è nata la prima idea, diventata presto materiale”, precisa la ricercatrice.
Questo strumento – denominato Kythara, dal greco antico, per la sua forma a chitarra – ha garantito il campionamento in mare delle microplastiche insieme a cittadini non ricercatori né scienziati.

La ricerca a terra si è basata invece su quello che Raffaella chiama “il gioco delle plastichine”, anche se, come dice lei stessa, “tutto è tranne che un gioco”.
Si parte dall’assunto che le plastiche di piccole dimensioni non si vedono. Vedere una bottiglia buttata da qualche parte è facile. Vedere palline di plastica di due millimetri no. Non siamo educati a vederle. Raffaella sottolinea come la visione vada proprio educata all’osservazione. E il gioco delle plastichine fa proprio questo.
“Io l’ho fatto coi bambini e ragazzini dai tre ai tredici anni ma anche gli adulti non si tirano indietro, sono entusiasti e si divertono anche tantissimo. Perché è un gioco che stimola e mette alla prova”.
Le “armi scientifiche” – come le chiama Raffaella – a disposizione dei cittadini scienziati, per la ricerca a terra sono delle semplici pinzette e un contenitore qualsiasi. In poco più di un’ora, in uno spazio di circa ottanta metri per venti, i cittadini scienziati riescono a riempire un barattolone, poi categorizzano e dividono il materiale raccolto secondo le indicazioni di Raffaella.
Il primo scopo di questo gioco è l’osservazione empirica, per riconoscere e capire il problema. Dunque, percepirne il rischio reale. Nel quotidiano.
“Ho determinato un cammino di pensiero scientifico – spiega -. La microplastica è un problema perché ce la mangiamo. Percepire il rischio attiva la ricerca di soluzioni. (…) E con la categorizzazione gli do anche il metodo. Come si categorizza, come si fanno i calcoli, i grafici, le barre statistiche. Insomma, viene attivato un qualche tipo di pensiero scientifico su come funziona la ricerca. È stato un successo vero, sia per la partecipazione, sia per l’importante quantità di materiale raccolto nel tempo e nello spazio (…). Da sola non ci sarei mai riuscita“.
Persino i bambini non ancora in grado di leggere sono riusciti non solo a categorizzare e catalogare, grazie al gioco imitativo e con l’aiuto di disegni sui contenitori, ma anche a fare delle vere e proprie relazioni su concetti più difficili da rendere.

“E io mi sono commossa. Quando ho visto il concetto di One Health disegnato mi sono commossa”.
One Health è l’idea che la salute degli uomini, degli animali e dell’intero ecosistema siano interconnesse in mondo inequivocabile.
Proprio i bambini più piccoli si sono rivelati quelli più coinvolti e interessati, tanto che Raffaella ci racconta che non si sono fermati di fronte a nulla per raccogliere e portarle quelle che in gergo vengono definite le “lacrime di sirena”, ossia le microplastiche primarie, perline che si usano per produrre molti tipi di oggetti di plastica.

“Per due giorni consecutivi di pioggia ci sono stati elementari e asilo, quindi i piccoli piccoli. Ma avevano il loro k-way, pinzette e barattolo – racconta -. Hanno fatto un’ora e mezza senza dire una sola parola, a ricercare sotto la pioggia. Che vuol dire? Che a loro non importava nulla delle difficoltà. Loro volevano fare quello e basta. E quando si vuole fare qualcosa, non esistono scuse.

Una volta una bambina dell’asilo si è persa le pinzette, un dramma, è corsa verso di me e si è messa a piangere. Era disperata perché non poteva più raccogliere le lacrime di sirena. Un’altra bambina delle medie mi ha fatto un disegno, mi ha rappresentato come una sirena vicino a uno squalo e una manta, con le lacrime di sirena”.
Le indagini su campo con i cittadini scienziati erano precedute da lezioni teoriche tenute da Raffaella sui concetti di inquinamento, biodiversità, sostenibilità, ecosistema e altro.
La scuola pilota del gioco, l’Istituto Comprensivo “Porto Romano” di Fiumicino ha aderito con più di 650 studenti dai tre ai tredici anni.

I differenti tipi di plastiche trovate nelle spiagge di Macchiagrande, Isola Sacra e della Tenuta Presidenziale di Castelporziano hanno dato risultati e alimentato ipotesi di ricerca importanti e inaspettati che presto verranno pubblicati.
I luoghi di studio in mare, con pedalò, piccole imbarcazioni e barche a vela, hanno interessato la costa romana del Comune di Roma e di Fiumicino, passando per il Tevere. Aree altamente urbanizzate.
Il progetto ha ricevuto il patrocinio del Comune di Fiumicino e dell’Assessorato all’Agricoltura, dell’Ambiente e Ciclo dei rifiuti del Comune di Roma, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e l’Assessorato alla Scuola, Formazione e Lavoro di Roma.
Hanno dato i permessi per accedere al sito di campionamento lungo la costa della Tenuta Presidenziale di Castelporziano, in partnership con l’oasi del WWF di Macchiagrande.
Sono attive collaborazioni con i cantieri navali di Fiumicino (CA.NA.FI) per lo sviluppo del prototipo e con Altura Scuola di vela e di mare di Roma, oltre che con lo stabilimento balneare di Ostia Sporting Beach, e collaborazioni scientifiche con Arpa Lazio e Capitaneria di Porto di Fiumicino.
Per le attività sul Tevere è stato dato il via a collaborazioni e partnership con Tevere Day, associazione di promozione e sensibilizzazione per il rilancio del Tevere e con il comando dei Vigili del Fuoco di Roma.
Cosa ne sarà poi delle tantissime microplastiche raccolte?
Saranno utilizzate per la creazione di opere d’arte.
“Ma il nome dell’artista di fama mondiale ancora non lo posso dire”.
Per ora possiamo solo anticipare che il nome sarà svelato il 5, 6 e 7 ottobre, in occasione del Tevere Day.
Il progetto PCSI è stato ritenuto di interesse regionale per la Citizen Science e inserito nel Piano di Transizione Ecologica della Regione Lazio.