“Se si abbandona l’ideologia della crescita è possibile ridare forza all’impegno per una maggiore equità tra gli esseri umani”: lo ripete dal tempo, nei suoi libri e nelle sue conferenze, il fondatore del “Movimento per la decrescita felice” Maurizio Pallante, che sta presentando in questi giorni in Italia il suo ultimo volume “Destra e sinistra addio. Per una nuova declinazione dell’uguaglianza” (Edizioni Lindau, 2016), che propone, tra l’altro, una lettura dell’enciclica di Papa Francesco “Laudato sì”. “Per la prima volta – osserva Pallante -, la decrescita riceve un riconoscimento della massima autorevolezza morale… Questa affermazione di Papa Francesco segna l’inizio di una svolta storica”. Eppure, secondo Pallante, la classe politica italiana, “da entrambe le parti, sembra non esserne pienamente cosciente o non avere la forza di trovare risposte adeguate ai bisogni del nostro tempo”. Da qui l’invito a “riformulare l’azione economica e sociale di questo Paese sulla base di uno sguardo del tutto nuovo”. Prosegue oggi, dopo la prima parte pubblicata ieri, la lunga chiacchierata di Pallante con i lettori di b-hop.
Dal 2008 ad oggi è cambiato qualcosa nella percezione della crisi?
Purtroppo non tanto perchè i messaggi che arrivano dai media sono sempre a senso unico: dobbiamo rilanciare la crescita per superare la disoccupazione. Invece il problema è che la crescita è la causa della disoccupazione. In una economia finalizzata alla crescita le aziende devono fare concorrenza tra loro, investendo in tecnologia sempre più perfezionate che aumentano la produttività, che consente di produrre di più con meno persone. Aumentano l’offerta di merci ma se riducono l’occupazione riducono anche la domanda di merci. Creano uno squilibrio permanente tra lo sviluppo dell’offerta e le dimensioni della domanda a cui si cerca di far fronte, aumentando la domanda attraverso i debiti. Per cui siamo in una situazione in cui gran parte della domanda è fatta sul debito, se si riducono i debiti si riduce la domanda e si aggrava la crisi. Se invece si cerca di rilanciare l’economia dobbiamo aumentare i debiti, per cui non se ne esce. L’unico modo per uscirne è fare questa scelta selettiva e ridurre gli sprechi. I soldi che risparmiamo li investiamo per sfruttare tecnologie che non hanno lo scopo di aumentare la produttività ma di ridurre il consumo di risorse e l’impatto ambientale. Fare una decrescita selettiva del Pil.
Possiamo dire allora che la crisi in Italia non è stata sfruttata come una opportunità per cambiare stili di vita, comportamenti, cicli industriali, approccio economico?
E’ proprio così. La decrescita riguarda sia coloro che fanno autoproduzione e non dipendono più dal mercato, ma anche chi imposta una politica industriale diversa. Un esempio? Ci sono industriali che hanno prodotto una pompa per pompare acqua dal sottosuolo, che funziona trasformando l’energia del sole in energia meccanica, senza consumare energia elettrica, neanche con il fotovoltaico. Questo significa ridurre l’impatto ambientale, sviluppare la tecnologia che crea occupazione e che riduce i costi. La nostra scelta strategica è questa: indirizzare gli stili di vita e lo sviluppo tecnologico nella direzione di ridurre gli sprechi, senza aumentare la produttività.
Le società civili sono sempre più avanti rispetto alle scelte della politica e dei governi. E’ ottimista comunque?
Rispondo “gramscianamente”: con il pessimismo dell’intelligenza la situazione è grave. Serve l’ottimismo della volontà per cambiare la realtà.
Nei circoli del Movimento della decrescita felice stanno emergendo tante buone prassi. Quale vuole ricordare?
Sì, tra le buone prassi c’è l’Università del saper fare a Roma, dove le persone re-imparano a fare le cose che avevamo perso attraverso l’autoproduzione. Sono tutti giovani, questo è l’aspetto importante. C’è un salto generazionale: i nonni insegnano e i nipoti imparano. I genitori sono stati bruciati intellettualmente dal mondo economico e hanno perso la cultura abituale delle nostre famiglie.
Qual è, in sintesi, il messaggio del suo ultimo libro? Perchè “destra e sinistra addio?”
Destra e sinistra sono due concretizzazioni storiche di due pulsioni opposte nell’essere umano: la pulsione all’uguaglianza e alla disuguaglianza; la pulsione alla collaborazione e alla sopraffazione. Queste due pulsioni storiche, precedenti alla destra e alla sinistra, queste ultime teorizzate per la prima volta durante la rivoluzione francese, hanno in comune l’idea che la crescita economica sia un fatto positivo. Si dividono sulla distribuzione della ricchezza monetaria prodotta dalla crescita. Storicamente ha vinto la destra, perchè è stata più capace di far crescere l’economia. Ma la sconfitta della sinistra non è la sconfitta della pulsione all’uguaglianza, è la sconfitta dell’interpretazione storica che la sinistra ha dato all’uguaglianza. E’ possibile oggi recuperare questa pulsione al di fuori dello schema della sinistra? Sì se saremo capaci di alcune cose da un punto di vista culturale: capire che l’equità non può restringersi agli esseri umani ma va estesa a tutti gli esseri viventi, non solo ai viventi ma anche alle generazioni future; in una società in cui tutti i bisogni sono stati appiattiti sul materialismo la forza rivoluzionaria maggiore è la spiritualità, che non è la religione, ma è intrinseca a tutti gli esseri umani. La religione è l’applicazione della spiritualità in persone che hanno la fede, cioè credere in qualcosa che non è dimostrabile. Se la fede non c’è senza la spiritualità, la spiritualità può esistere senza la fede. La spiritualità consiste nella capacità di non avere rapporti mercificati con le persone ma basati sul dono “donum” incondizionato, che non vuole compenso e sul “monus”, il legame sociale tra gruppi umani: se hai bisogno di un lavoro io lo faccio, poi quando avrò bisogno io me lo restituirai. Questo scambio non mediato dal denaro crea legami sociali.
Si può dire allora che Papa Francesco è un fautore della decrescita?
Il Papa fa la sua strada che si è incrociata casualmente con quello che facciamo noi. La strada del Papa è di dire che bisogna riportare l’equità tra tutti gli esseri viventi perchè il male che si fa ad un altro vivente ricade su tutti. Dice che sta finendo una epoca storica iniziata 250 anni fa con la rivoluzione industriale e che c’è bisogno di un nuovo inizio in cui si superi la mercificazione e si recuperi la dimensione spirituale e la dimensione di relazione basata sul dono. In questa enciclica il Papa è fautore di una nuova cultura che ha molti punti in sintonia con quello che noi sosteniamo. Speriamo in una presa di coscienza nel mondo cattolico. Stiamo facendo molti incontri, la dimensione spirituale e l’attenzione della base c’è.
credits photo: Movimento per la decrescita felice Roma