di Agnese Malatesta – Tutto ruota intorno alla parola opportunità. Parola che evoca speranze, potenziali occasioni. E nel progetto che stiamo per raccontare, le opportunità si cercano, prendono la forma di azioni di un accompagnamento personalizzato finalizzato all’inserimento lavorativo di persone fragili.
Si tratta del progetto “Officina delle Opportunità”, una collaborazione tra Vicariato di Roma, Roma Capitale e Regione Lazio, operativo dallo scorso dicembre della durata triennale, che dispone di un Fondo ad hoc per complessivi 1,5 milioni di euro.
Parrocchie, servizi pubblici territoriali (servizi sociali, Centri di Orientamento al lavoro, Centri per l’impiego) e imprese della città fanno parte della rete che si prende cura di individuare ‘opportunità’ lavorative a persone in stato di fragilità sociale, giovani e meno giovani, disoccupati, portatori di handicap, tutte persone che hanno visto peggiorare la propria condizione con la pandemia. Un accompagnamento rivolto all’esigibilità dei diritti.
Quali azioni mette in atto l’Officina? Percorsi personalizzati di orientamento; tirocini e corsi di formazione per permettere alle persone di riattivarsi e riqualificarsi verso il lavoro desiderato; promozione dell’autoimprenditorialità.

“Siamo venuti a contatto con realtà molto difficili – spiega a B-hop magazine Monica Piras, coordinatrice del progetto – persone che non avevano il pane per mangiare.
Quello che facciamo è fornire un riferimento stabile e creare focus su cui lavorare. Lo facciamo persona per persona. Cerchiamo di dare risposte a partire dal fornire informazioni adeguate, che è già un’opportunità”.
Obiettivo primario: individuare una progettualità individuale. Finora sono state seguite, a vari livelli, 900 persone, età media 40 anni. Per circa la metà si è giunti ad una valutazione degli interventi.
Una sessantina gli abilitati al mondo del lavoro (in varie formule, tirocinio e formazione). Trentasei le persone inserite in un lavoro con contratto, seppure a tempo determinato, ma con le tutele del caso.

Il primo passo degli operatori dell’”Officina” è il rapporto con la persona: “si avvia un percorso per capire e conoscere meglio i bisogni. Solo così si può cominciare l’accompagnamento, non si può fare a meno di scoprire la persona. Spesso – afferma Piras – ci troviamo davanti persone depresse, che hanno perso il lavoro da un giorno all’altro, dalla qualità della vita impoverita. C’è disorientamento e confusione, va contenuta la frustrazione.
Arrivano da noi che recitano come un mantra ‘cerco qualsiasi cosa pur di lavorare’. Noi chiediamo ‘che lavoro vuoi fare?’. Ci guardano stupiti.
Infatti, puntiamo a capire il possibile profilo professionale della persona, i suoi interessi, spesso inconsapevoli. Via via si riscoprono. Le persone per dare il meglio di sé devono essere messe nelle condizioni di capire cosa stanno facendo e per quale scopo, devono avere una visione chiara degli obiettivi da raggiungere, devono poter avere spazi di dialogo e confronto ed essere formate. Se la persona si centra rispetto ai propri obiettivi, è tutto più facile. Cerchiamo di individuare anche sulla base delle offerte che abbiamo, quale possa essere il meglio per la persona”.

Piras tiene a sottolineare “l’aspetto sociale del progetto che è molto forte. Se si mette al centro la persona, poi qualcosa scatta e produce effetti positivi. Il nostro obiettivo è far sentire loro che è la comunità che accoglie”.
Un caso è emblematico. “Un uomo di mezza età con un’esperienza professionale alberghiera, senza lavoro, è stato seguito nel progetto. Ha lavorato molto sulla autostima e sulle sue risorse. Ci ha chiamato dopo un po’ di tempo dicendoci che aveva trovato un lavoro alla reception di un hotel e che stava cercando personale. Chiedeva a noi personale!!! Ecco la potenza del nostro progetto”.