di Agnese Malatesta – Se il tema dell’abbandono per i figli adottati “fosse un braccialetto immaginario intorno ai loro polsi, i bisogni speciali aggiuntivi sarebbero i ‘charms’, i piccoli ciondoli che tintinnano intorno. E si fanno sentire, pure loro. Ma possono anche staccarsi, con il tempo, o cambiare forma”. Questi “charms”, braccialetto compreso, non si possono ignorare. Su questi si gioca il ruolo delle relazioni nelle famiglie adottive, dove gli “special needs”, i bisogni speciali dei figli sono spesso, almeno inizialmente, di tipo sanitario ma per lo più legati alla sfera emotiva ferita da traumi, maltrattamenti, disattenzioni dei loro primi anni di vita: un bagaglio ingombrante da portare e da accompagnare.
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Come fare allora? Un libro, giunto di recente nelle librerie in cui si affronta il rapporto fra adozioni e bisogni speciali, propone la metafora dei charms e indica una strada.
Lo fa già nel titolo: “Nessuno è perfetto ma l’amore sì” (Ed. San Paolo). Lo ha scritto Francesca Mineo, una giornalista, esperta di comunicazione, madre di un bambino di origine cinese, Lin Yong, oggi 14/enne, a cui è dedicato questo lavoro.
Nel libro, l’autrice ripercorre le tappe del suo percorso adottivo, intervista esperti su temi significativi (come l’arrivo in casa del bambino, il rapporto con la scuola, l’inizio dell’adolescenza) e offre, con un accurato e sensibile linguaggio, una lettura di stati d’animo e di vissuti emozionali. Sia dei figli, sia dei genitori.
Quindi: nessuno può dirsi perfetto. Vale per tutti, vale per tutti i figli. Vale anche per tutti i genitori, non esenti da sofferenze e traumi pregressi. “In ciascuno di noi possono coesistere più debolezze o fragilità, eppure si può essere felici e realizzare buona parte, se non tutti, i nostri desideri”, scrive Mineo secondo la quale nell’adozione è necessaria gradualità, accettazione, flessibilità ed adattamento perché i corsi di vita possono cambiare e migliorare, i traumi possono prendere forme meno distruttive, le sofferenze possono trasformarsi, i limiti possono far scoprire nuove potenzialità.
Davvero allora d’adozione può essere quel processo riparatore di un abbandono e dare una speranza di vita ad un bambino?
L’importante è, dalla parte dei genitori, non negare i problemi, essere consapevoli delle difficoltà, usare tanta pazienza, farsi aiutare. Soprattutto
non avere fretta perché “anche l’amore ha i suoi tempi”.
Del resto, gli “special needs sono, in fondo, le reali necessità di tutti i bambini: amore, tempo, stabilità, regole, ascolto, accudimento, presenza”. Ed ancora: diventare genitori adottivi significa “accogliere completamente e interamente qualsiasi bisogno: psicologico, emotivo, sanitario, fisico, perfino quelli fantasiosi, creati dagli stessi bambini per sopportare meglio i loro vissuti”.
Per questo, sostiene l’autrice del libro,
“diventare genitori con l’adozione non è un percorso per tutti: è richiesto impegno diverso, meno prevedibile, meno codificato rispetto a come accade invece nella genitorialità biologica”.
Anche ai figli è richiesto tanto per integrarsi nella nuova famiglia, in termini di impegno e forza, fiducia, ed ognuno è diverso dall’altro; c’è una componente soggettiva nel reagire ai fatti, compresi i traumi. Niente è codificato. Genitori super quindi per l’adozione? No. Ma maggiore consapevolezza si. “Il nostro impegno di genitori è quello di sempre e di tutti: ascoltare, insegnare ad accettare se stessi per come si è; e spostare il fulcro della questione altrove, dove l’altrove non è una distrazione o un alibi ma guardare il bicchiere mezzo pieno, anzi, pieno per tre quarti, se non di più. Non è semplice, fa parte delle famigerate ‘capacità speciali’ dei genitori”.
Guardare al positivo, potenziare la fiducia nel legame, anche sulle proprie risorse.
“Nove anni dopo l’incontro con mio figlio – dice Mineo a B-Hop magazine – ho capito che l’intero viaggio adottivo ha permesso innanzitutto di accogliere una vita non generata naturalmente e quindi accettarla, riconoscerla. Questa avventura, iniziata con una scelta di coppia e poi con un lungo percorso formativo, ha consentito di moltiplicare la capacità di accogliere: accettarsi per come si è – nessuno, appunto, è perfetto -, comprendere ancor di più il ‘diverso’ e l’altro da te, capire che siamo tutti fragili, genitori e figli e che
l’amore, sarà banale, ma è capace di salvarci. Tutti quanti, in vario modo, mostriamo di avere bisogni speciali”.
Quando una coppia dice si all’adozione, deve quindi avere ben chiaro che il percorso avrà delle differenze dalla genitorialità naturale: avrà a che fare con un figlio o dei figli dove è di solito maggiore la presenza di paure e ansie, disregolazioni emotive, disistima di sé: si vada incontro loro “consapevoli che porteranno con sé altri traumi o specificità oltre all’abbandono, e che è impresa possibile: richiede tuttavia la messa a punto di molte risorse, individuali e di coppia. Teniamo sempre a mente il pensiero che ci guida fin dalla pagina 1. Si può fare!”.